Impossibile riportare Cesare Battisti in Italia rispettando le leggi brasiliane. Per rimpatriarlo occorre necessariamente violare le norme. Questo sostiene il gruppo di sei avvocati dell’ex militante dei Proletari armati per il comunismo condannato all’ergastolo in Italia per quattro omicidi compiuti negli anni Settanta di cui lui si dice innocente. Se una strada legale per il rimpatrio forzato invece c’è, l’ambasciata italiana a Brasilia non l’ha ancora trovata. Il presidente Michel Temer, non proprio un politico dal modus operandi ligio alle norme e dal curriculum immacolato, non ha infatti ancora firmato il decreto presidenziale pronto da giorni per l’estradizione. C’è qualcuno, nel ristretto gruppo di governo, che si sta opponendo a quella firma. E visto l’orientamento ultraconservatore del Planalto, è da escludere si tratti di qualcuno con simpatie per Cesare Battisti. Il presidente potrebbe aver timore di compiere una illegalità che gli causi problemi con la giustizia. E’ già scampato a un impeachment con alchimie politiche. Ha un favore popolare sotto il 5%. Può anche voler fare un favore all’Italia ( in cambio di cosa non è chiaro) ma non può rischiare di doverlo pagare caro di persona. Per questo temporeggia.

La tesi della difesa di Battisti è la seguente: nessuno dei tre modi possibili per rimpatriare uno straniero dal Brasile è in questo caso praticabile legalmente. La legge vieta sia di estradarlo, sia di espellerlo, sia di deportarlo. Vediamo perché.

Il Tribunale supremo ha analizzato la estradibilità di Battisti in passato in due fasi. Prima, nel settembre del 2009 ha votato, con 5 voti contro 4, per l’estinzione dello status di rifugiato concesso a Battisti nel 2008 dal ministro di Giustizia Tarso Genro che, con quell’atto, passò sopra al rifiuto di riconoscere a Battisti la condizione di rifugiato espresso in precedenza dal Comitato apposito per la valutazione delle richieste di asilo. Poi, nel novembre del 2009, Il Tribunale supremo autorizzò l’estradizione. Si noti bene: autorizzò, non ordinò. Questo perché quel Tribunale ha la funzione di valutare la legalità di un atto, la conformità di un atto alla legge. In questo caso considerò Battisti estradabile, autorizzò l’estradizione. Chi era il destinatario dell’autorizzazione ad estradare Battisti? Il presidente della repubblica che, come capo dell’esecutivo, aveva il potere di decidere se eseguire o no quell’atto autorizzato. E il presidente Lula da Silva decise di non autorizzarlo.

Fu tanto chiaro il verdetto del Tribunale che uno dei suoi componenti, il giudice Joaquim Barbosa, sottolineò che “Il Tribunale non estradita nessuno. Semplicemente valuta se la richiesta di estradizione è accettabile o no”. Se il Tribunale avesse negato l’autorizzazione all’estradizione, il presidente della repubblica non avrebbe avuto possibilità di estradare Battisti senza compiere un illecito. Siccome invece il Tribunale considerò la richeista italiana accettabile e riconobe, tra l’altro esplicitamente, la facoltà del presidente di eseguirla o meno, Lula ebbe la possibilità di scegliere se eseguire l’estradizione o no. Lula decise di negarla.

In quell’occasione uno dei giudici del Supremo, chiese che si votasse esplicitamente sopra il seguente quesito “in caso di dichiarazione di estradibilità da parte del Supremo, il capo di Stato è obbligato forse ad eseguire l’estradizione o può autonomamente valutare se respingerla o eseguirla? ”. Molti considerarono la discussione inutile perché la legge è chiara in proposito. Il Tribuanle supremo votò comunque per sciogliere il quesito e, con 5 voti contro 4, stabilì che il capo di stato può autonomamente decidere se eseguire o no un’estradizione dopo che il Tribunale supremo ha giudicato estradabile il cittadino straniero oggetto della richiesta.

Il decreto presidenziale con cui Lula ha negato l’estradizione di Battisti fu firmato il 31 dicembre del 2010, fu l’ultimo atto del suo mandato. L’avvocatura di Stato lo esaminò e lo considerò un atto giuridicamente impeccabile. Il 9 giugno del 2011 il Tribunale supremo si riunì ancora per esaminare a sua volta il decreto presidenziale firmato da Lula e lo considerò a sua volta giuridicamente impeccabile, senza errori né vizi di forma, con sei voti a favore e tre contrari. A quel punto Battisti uscì di galera. Gli venne dato un documento di residenza permanente e permesso di lavoro permanente perché ovviamente, avendo il Brasile rifiutato la sua estradizione e non avendo lui carichi pendenti con la giustizia locale ( quello che aveva, per essere entrato con documento falso nel paese, l’aveva già scontato) era necessario per il Brasile fornirgli un documento regolare.

La soluzione trovata per agirare il decreto presidenziale di Lula sarebbe quella di emettere un nuovo decreto presidenziale che lo annulli secondo il seguente ragionamento: un decreto presidenziale è un atto amministrativo, un criterio consensuale del tribunale supremo nell’esaminare gli atti amministrativi ( sumula si chiama questo criterio consensuale in Brasile e nello specifico si tratta della sumula 473 del 1969) prevede che le amministrazioni possano annullare i loro propri atti quando presentino vizi o risultino illegali, oppure revocarli per motivi di convenienza e opportunità rispettando i diritti acquisiti e previa valutazione giuridica. Il problema che si trova di fronte Temer nello stracciare il decreto di Lula è probabilemnte che quel decreto è già stato giudicato giuridicamente perfetto sia dall’Avvocatura dello Stato che dal Tribunale supremo e che, per di più, se fosse revocato, la famosa “sumula” verrebbe violata perché è innegabile che estradare una persona che vive da sei anni come libero cittadino con status di straniero residente con permesso permanente significa ledere un suo diritto acquisito.

C’è un altro problema. Ogni decreto presidenziale ha, per legge, un tempo massimo entro il quale può, rispettando la sumula, essere modificato. E questo tempo è di 5 anni. Qui ne sono passati quasi sette. Quindi l’estradizione non è praticabile. A meno di voler incorrere nell’accusa di sequestro poliziesco illegale, aggiunge la difesa di Battisti.

Resta l’esplusione, che insieme alla deportazione è un altro modo per sbattere fuori dal Paese uno straniero. Il presidente della repubblica può ordinare di portare lo straniero fuori dal territorio brasiliano: o in un paese indicato per qualche ragione, o semplicemente, fargli passare la frontiera di quello più vicino. L’espulsione non si può applicare a Cesare Battisti perché è padre di cittadina brasiliane minore d’età. In tutt la storia brasiliana c’è un solo caso in cui ciò è avvenuto, dicono gli avvocati, e risale al 1953, si trattò di un cittadino portoghese, padre di un brasiliano, espulso perché giudicato colpevole di un grave assassinio commesso in Brasile. In quel caso il presidente decise l’espulsione e poi il Triunale supremo discusse a lungo se si fosse trattato di un atto legittimo. Decise per il sì con un voto di maggioranza. Ma era il 1953 e, soprattutto, il delitto era stato commesso e giudicato in Brasile, non in Italia decenni prima e giudicato in processi con l’imputato in contumacia. Esiste poi il metodo della deportazione. Si applica con gli immigrati irregolari. Si tratta di riportare il cittadino straniero nell’ultimo paese in cui risulta essere stato presente prima di arrivare in Brasile. Si usa però, e raramente perché il Brasile ha una politica di accoglienza, con immigrati senza documenti legali di soggiorno e senza vincoli nel territorio brasiliano. Difficile far rientrare in questa categoria un cittadino straniero residente regolarmente, con figlia brasiliana di minore d’età. L’unica via che il governo italiano ha di riportare Battisti è di farlo illegalmente, contravvendendo alle norme brasiliane e accettando di sollecitare il Brasile a violare le sue leggi. Resta da capire perché Temer s’è detto disponibile a dire di sì. In cambio di cosa accetterebbe di violare le leggi brasiliane per fare un favore all’Italia. E’ uomo scaltro, non sciocco. La contropartita deve convenirgli parecchio.