Il filosofo Massimo Adinolfi è edtorialista del Mattino da dieci anni. Mai gli era capitato di essere seppur indirettamente scaraventato nel girone degli opinionisti a gettone, di chi riflette e analizza non per convinzione ma per comodità. Nello specifico, Bindi ha di fatto messo anche lui nel calderone quando sabato scorso ha liquidato con la seguente sentenza la battaglia di Mattino e Messaggero contro i sequestri preventivi agli indiziati di corruzione: «Mi indigno perché vedo che ci sono alcuni direttori di giornale che fanno gli interessi dei loro editori non in quanto editori, ma in quanto costruttori, e attaccano questa legge in qualche modo per minare tutto il sistema delle misure di prevenzione».

Un’allusione di sorprendente e gratuita sgradevolezza al fatto che i due principali quotidiani di Napoli e di Roma sono editi appunto da un costruttore, Francesco Gaetano Caltagirone. Sul Messaggero ieri ha risposto con ironia affilatissima Carlo Nordio, un altro della cui integrità sarebbe semplicemente demenziale dubitare.

E lei come l’ha presa, professor Adinolfi?

Davvero male. Sono amareggiato e appunto ho preferito autocensurarmi. Non ho voluto utilizzare il mio giornale per una replica sincera e schietta che sarebbe apparsa come un fatto personale.

Può replicare con quest’intervista.

Ecco, quella frase mi pare si inserisca alla perfezione in un certo andazzo, la lapidazione del garantismo attraverso lo screditamento di chi lo professa. Chiunque in questi ultimi anni si sia impegnato in battaglie sui diritti si è sentito rovesciare addosso volgarità delo stesso tipo. È un malcostume antico: anziché entrare nel merito si preferisce screditare la persona.

Spesso Bindi si è lamentata per la volgarità degli avversari, soprattutto di centrodestra: usa la stessa moneta?

Guardi, la presidente Bindi è una sincera cattolica, giusto? Quindi parliamo del peccato ma non del peccatore, ecco. Se lei mi chiede se quella frase è stata volgare...

Glielo chiedo.

... lo è stata senza dubbio, ed è di quella volgarità che le dicevo, usata con abituale disinvoltura su argomenti del genere. Se invece mi chiede della presidente Bindi, le dico che non è una persona volgare. Ma è come se si fosse unita a un coro che rimbomba da anni.

La lapidazione dei garantisti?

Nel clima giustizialista e populista che si respira, una battuta come quella del vertice dell’Antimafia è subito compresa. Se invece devi spiegare perché ti batti per impedire che una certa legge laceri il sistema delle garanzie, devi spiegarti a lungo, devi ricorrere a un armamentario persuasivo molto più articolato.

Come ci si è arrivati?

Il fatto che chi ha posizioni garantiste venga subito additato come connivente, colluso, moralmente ambiguo, affonda le sue radici nella crisi della nostra classe dirigente, non solo di quella politica. La credibilità del sistema è precipitata a un grado così basso che assumere una posizione libera e indipendente senza essere subito trascinati nel gorgo degli screditamenti reciproci è diventata un’impresa.

La politica ha una pessima opinione di se stessa e la estende al prossimo.

Di più: la politica ormai non ha alcuna idea di sé. C’è una perdita di funzione storica che è davvero drammatica: la politica non sa più dove portare questo Paese né sa perché ha un ruolo dirigente.

L’affermazione può essere letta anche al rovescio: proprio perché è stata svuotata di funzione da poteri sovranazionali e privi di legittimazione democratica, la politica ha perso credibilità.

Certo, è un circolo vizioso. E se arriva a conseguenze sempre più estreme può mettere la democrazia in serio pericolo. È vero che l’uso della delegittimazione morale per abbattere un potere fa parte della storia europea dall’Illuminismo in poi. Cito un testo che lo spiega con chiarezza: Critica illuminista e crisi della società borghese, di Reinhart Koselleck. Solo che l’Ancien régime era un sistema evidentemente autocratico, nel nostro caso vediamo messa in discussione la sovranità democratica. E quanto più è sommersa dalla marea del discredito, tanto più la politica perde di senso e si svuota.

La battaglia garantista è persa in partenza?

Faccio l’esempio della presidente Bindi: ha detto che i sequestri a chi è solo indiziato di corruzione sono un regalo agli italiani, io a lei vorrei regalare un manuale di logica. Mi riferisco a un’altra sua frase, secondo cui Mafia Capitale dimostrerebbe come la mafia usi metodi corruttivi, e che quindi le misure contenute nel Codice antimafia sono indispensabili. Il punto è che la mafia può anche servirsi dello strumento corruttivo, ma questo, sul piano logico, non può equivalere all’assunto per cui ogni fenomeno corruttivo è mafioso. È un errore circolare, è come dire che poiché tutti gli uomini sono mortali, e tutti gli animali sono mortali, tutti gli animali sono uomini.

Com’è che in Parlamento i fautori della legge hanno vinto?

Primo: è un provvedimento illiberale. Secondo: sono sinceramente sorpreso del giudizio che ne ha dato il ministro Orlando, con il quale ho avuto il privilegio di collaborare. Conosco la sua misura, la sua preparazione, e davvero non comprendo perché si dica favorevole a una norma simile. Vorrei ricordare che vi è prevista l’inversione dell’onere della prova: è l’indiziato a dover fornire prova della lecita provenienza dei suoi beni. Ma un conto è imporlo a un presunto mafioso, estenderlo a chi è appena indiziato di reati contro la pubblica amministrazione è appunto illiberale.

Il ministro sostiene che i “no” sono tipici di un Paese in cui la proprietà privata è intangibile anche al di là di come la si è acquisita.

Mi pare che nel nostro ordinamento siamo già colmi di misure di confisca, non credo si tratti di un tabù.