La regola è sempre la stessa: strillare su giornali e tv che i nostri territori sono invasi dalle mafie, poi diffondere un pacco di intercettazioni e una bella grande foto con al centro un personaggio politico che non c’entra niente ma che viene subito guardato con sospetto. E’ successo con Mafia Capitale, che mafia non era, come certificato dalla sentenza di primo grado. Sta capitando qualcosa di simile in Lombardia, dove un’inchiesta sulla ’ ndrangheta è stata mescolata in un minestrone velenoso con le indagini su un sindaco pressato da un imprenditore forse un po’ troppo trafficone e chiacchierone, che in qualche telefonata diceva di avere come punto di riferimento politico il senatore Mario Mantovani.

Gli ingredienti ci sono tutti. Che in Brianza come un po’ in tutto il nord ci sia la ‘ ndrangheta, è fatto certo. Del resto le mafie vanno dove c’è maggiore accumulazione di capitali. E si sa anche di quali reati, oltre a quello associativo, si rendono responsabili gli uomini della criminalità organizzata: traffico di droga, estorsioni, incendi, ricatti, detenzione di armi, omicidi. Di questa parte dell’inchiesta, presentata in gran pompa nei giorni scorsi al palazzo di giustizia di Milano dalla Dda di Milano e Monza, però non si sa pressoché nulla, nessun mezzo di comunicazione ne parla. Il che è un po’ singolare, se viene lanciato un allarme ( attenzione cittadini, siete invasi dai mafiosi) è bene che tutti sappiamo da chi dobbiamo difenderci. Invece niente. Evidentemente nella conferenza stampa non se ne è parlato. Oppure i nostri colleghi non lo hanno ritenuto interessante.

Sappiamo invece tutto su quel che sarebbe accaduto un paio di anni fa all’interno del Comune di Seregno, pacifica ( fino a ora, visto che la giunta ieri si è anche sciolta) cittadina di 45.000 abitanti nel cuore della ricca Brianza. Un centinaio di pagine di intercettazioni ambientali è dedicato a discussioni, litigi e pettegolezzi tra un gruppo di tecnici che battibeccavano sulle procedure necessarie per una variazione d’uso di un terreno su cui un imprenditore, Antonino Lugarà, intendeva costruire un supermercato. Il terreno andava forse prima bonificato, ma non tutti erano d’accordo. La delibera doveva essere di giunta o di consiglio? Di cose così si discuteva.

Lugarà è stato arrestato per corruzione, perché con i voti per le elezioni del 2015 si sarebbe comprato il sindaco Edoardo Mazza ( anche lui in manette), che avrebbe ricambiato con la variazione d’uso del suo territorio. E fino a qui sarà tutto nelle mani dei giudici ( se si arriverà a processo) valutare se ci siano state irregolarità tecniche e anche, eventualmente, se i voti, che l’imprenditore valuta nel numero di 30, siano da considerarsi “altra utilità”, come prevede il codice per stabilire se un pubblico ufficiale, che non ha incassato mazzette, sia stato comunque corrotto.

Che cosa c’entra la ‘ ndrangheta? Il fatto è che Antonino Lugarà viene descritto come un capomafia. Infatti quando viene svaligiata la casa della figlia, cui vengono rubati tutti i gioielli, l’imprenditore sparge la voce, e chiede non alla polizia ma ad “altri” se si riesce a recuperarli. Ma invano. Strano comportamento per un capomafia, che si lascia svaligiare e non è neanche in grado di recuperare la refurtiva. Va anche detto però che Lugarà è calabrese ( questo è già sospetto) e magari frequenta qualche ambiente un po’ borderline. Forse, non sappiamo.

Ma il vero peccato mortale di questo imprenditore che passa le giornate a stressare per il supermercato i tecnici del comune di Seregno e anche il sindaco Mazza ( il quale a un certo punto si lascerà scappare al telefono «ogni promessa è debito» ) è la sua conoscenza con l’ex vicepresidente della Regione Lombardia, il senatore Mario Mantovani, che considera un suo punto di riferimento politico. Mantovani come ha detto nell’intervista al nostro giornale - è stato a Seregno durante la campagna elettorale del 2015, come altri dirigenti del centrodestra hanno fatto, e ha festeggiato insieme agli altri la vittoria. Ma quando, tramite Lugarà, gli viene chiesto ( mentre era assessore alla sanità) di trasferire un certo primario e di promuoverne un altro, non lo fa. Il che dimostra, non solo che non c’entra con la mafia, ma neppure con eventuali intrallazzi o clientelismi a Seregno. Inoltre non c’è una sua intercettazione nell’inchiesta, ma solo conversazioni di altri su di lui. Si dice che è forte, che è potente. Gravissimo.

Ma c’è quella foto in cui lui è con il sindaco presunto corrotto e con l’imprenditore presunto corruttore e anche presunto mafioso. Come negargli un’informazione di garanzia e soprattutto una bella gogna mediatica? Il ministro Poletti si è salvato da quella foto di Mafia capitale, e così sarà per Mantovani. Ma intanto…