Gli avvocati possono incidere fortemente nella tutela contro il linguaggio di odio, «facendo le domande giuste al giudici, permettendo così che maturi una giurisprudenza protettiva dei diritti individuali». Ne è sicuro Vincent Berthat, presidente del Conseil National de Barreaux francese, ospite del G7 dell’avvocatura.

Esistono leggi in Francia contro il linguaggio d’odio sul web?

Nel nostro Paese è presente una norma che vieta il linguaggio offensivo su fatti storici, per esempio contro le vittime del nazismo. Il fenomeno che si sta pericolosamente diffondendo oggi, però, è diverso, perché riguarda la diffusione di messaggi d’odio contro gruppi o singole persone.

Quali categorie in particolare sono prese di mira?

Questo odio, in Francia, è rivolto soprattutto contro i migranti e gli immigrati provenienti dalle ex colonie ed è alimentato anche da partiti estremi come il Front National. Si tratta di un problema inedito con il quale dobbiamo necessariamente confrontarci in particolare modo in Francia, che è da sempre nazione multiculturale.

Lo sviluppo del web apre, però, anche il problema della tutela della privacy, soprattutto in rapporto con la lotta al terrorismo.

In Francia la questione è molto sentita e si dibatte soprattutto dell’efficacia dell’azione delle forze di polizia, da bilanciare con la libertà di espressione e comunicazione. Oggi i francesi temono il ripetersi di atti di terrorismo e l’opinione pubblica sembra cedere alla domanda delle forze di sicurezza di ottenere mezzi più invasivi anche di limitazione delle libertà individuali. Ecco, contro questa deriva l’avvocatura deve combattere.

E la politica come si sta muovendo?

Le racconto un aneddoto: sono stato chiamato dal Parlamento a dare un parere su una nuova legge in materia di sicurezza e ho fatto presente che molte parti erano contrarie alla libertà di espressione. Al termine dell’incontro, un parlamentare mi ha detto che era d’accordo con me ma che non si poteva fare altrimenti, perché le forze di polizia chiedevano nuovi strumenti di contrasto. Questo è il dibattito: come coniugare sicurezza, libertà personale e privacy.

L’avvocatura come può agire?

Innanzitutto con eventi come il G7 delle avvocature, un’iniziativa eccellente che ricolloca l’avvocatura al suo posto nella società. Il nostro ruolo, infatti, deve essere quello di intervenire nel dibattito internazionale, ripetendo che diminuire il livello di protezione dei diritti fondamentali non è una vera garanzia contro nessuna manifestazione d’odio, come il terrorismo. Permettere alla polizia di leggere la mia corrispondenza personale non impedirà in alcun modo l’azione dei terroristi.

Praticamente, esistono mezzi a disposizione degli avvocati per incidere?

Certo, attraverso la giurisprudenza. Le sentenze della Corte europea dei diritti umani e quelle della Corte di Cassazione francese si stanno sviluppando nella tutela dei cittadini in parallelo con i pericoli di cui abbiamo discusso. Ma chi condiziona la giurisprudenza? Noi avvocati, che abbiamo il dovere di fare le domande giuste ai giudici, creando una giurisprudenza sempre più protettiva dei diritti dei cittadini.