IL COMMENTO

Non sembri strano che Beccaria si soffermi anche sul tema del suicidio. Infatti, esso ha sempre interrogato in modo sottile e inquietante la coscienza del giurista, fino a propiziare una vera congerie di opinioni spesso in contrasto fra di loro.

E ciò anche dal punto di vista sanzionatorio, cosa che può appunto apparire strana ai nostri occhi, se si pensa che Platone già proponeva che al cadavere di suicida fosse tagliata la mano e che questa fosse seppellita lontano dal corpo ( tipo di sanzione simbolica). Invece, per San Tommaso, chi si toglie la vita uccide pur sempre un uomo e perciò merita una sanzione di un qualche tipo.

Ovviamente, si pone un problema ulteriore per il tentato suicidio: qui, in astratto, si potrebbe sottoporre a pena il soggetto che abbia tentato di suicidarsi – senza riuscirvi – ma rimane il fatto che l’astratta comminatoria di una sanzione avrebbe l’esito di indurre il soggetto a meglio predisporre i comportamenti autolesionisti, per timore di incorrere nella sanzione in caso di insuccesso.

Nessuno in realtà ha mai dubitato – nella storia dell’Occidente – che il suicidio sia un atto illecito, tranne qualche corrente della filosofia stoica o del libertarismo anglosassone; si tratta di capire se e come possa essere sanzionato. In certi casi la sanzione cadeva sui familiari sopravvissuti, attraverso sanzioni civili che incidevano sulla capacità di accedere all’eredità del suicida.

Ebbene, Beccaria rigetta questa possibilità, in quanto la sanzione cadrebbe su persone diverse dal suicida e soprattutto – e qui rifulge la sua mentalità tipicamente utilitaristica perché una tale prospettiva sanzionatoria non sarebbe assolutamente in grado di fermare in tempo la mano di chi voglia usare violenza su se stesso.

Da notare come anche in questo caso Beccaria metta in campo considerazioni di taglio strettamente utilitaristico, rifuggendo da ogni osservazione di tipo sostanziale, che afferisca cioè all’essenza del fenomeno.

Non a caso, egli evita argomentazioni di quest’ultimo genere, dal momento che sa bene come esse in passato abbiano condotto a contrapposizioni sterili e infruttuose, tali da non condurre ad alcun esito condiviso o condivisibile.

Una particolare clemenza Beccaria mostra poi per il reato di contrabbando il quale, se pur dannoso per le patrie finanze, non viene quasi mai percepito dai suoi autori nella sua reale consistenza: perciò, per il giurista milanese, le pene per costoro debbono essere diverse da quelle previste per i ladri o addirittura per i sicari.

Qui Beccaria ripropone la sua netta avversione per i delitti che attentano direttamente alla incolumità personale o a quella dei beni privati, rispetto a quelli che attentano alle casse dello Stato, ma non si tratta di insensibilità per i beni pubblici: si tratta di effettiva ed immediata lesività dei comportamenti.