Gli odiatori ci sono sempre stati. La novità è che progressivamente sono andati scemando e perfino scadendo gli antidoti per combatterli.

Un organismo sano ha meccanismi immunitari e barriere interne necessarie a fermare le infezioni. Ma se il corpo è debilitato, o se addirittura alcune sue membra gli si rivoltano contro, allora il pericolo si moltiplica e l’infezione galoppa.

Nelle società occidentali sta accadendo qualcosa di simile. Dall’esterno, l’attacco arriva dal terrorismo jihadista del quale in queste ore a Barcellona abbiamo avuto l’ennesima, orribile, riprova. In questo caso, alcuni anticorpi sono in opera.

Sono in opera polizia, magistratura, organismi di sicurezza, che garantiscono reazioni e contromisure. Ma come stiamo amaramente appurando, tutto diventa più difficile quando constatiamo che le cellule del terrore si annidano e crescono dentro i nostri confini, gli odiatori vivono accanto a noi, frequentano gli stessi posti, si nutrono delle nostre istituzioni e garanzie. Per poi colpire.

Poi ci sono i virus interni, che crescono di risonanza e, in certo senso, di potere utilizzando i mezzi che la tecnologia mette a disposizione, il web su tutti. E qui il discorso diventa assai più complicato. Il linguaggio d’odio, infatti, è la crosta, l’involucro di una pandemia le cui origini e modalità d’espressione affondano nei gangli stessi del nostro modo di vivere; interrogano i nostri valori; sgretolano consolidate istituzioni; annichiliscono il concetto di democrazia ritenuto sistema non più in grado di affrontare e risolvere i problemi.

Di qui parte l’attacco a svilirne, insultandoli, simboli e personifi- cazioni. Il caso della presidente della Camera, Laura Boldrini, è quello più recente: impossibile credere che sarà l’ultimo.

L’Italia, per storia e struttura sociale, dei Paesi europei è tra quelli maggiormente a rischio. Siamo diventati una società senza pelle, con nervi e muscoli totalmente scoperti, privi di qualunque protezione. Una società dove nel corso degli anni gli animal spirtis, quelli che si riferiscono alle pulsioni più viscerali dei singoli soggetti, quelli che sono portatori di istanze che attengono ad esigenze personali non più riconducibili al concetto di interesse generale, puntano a prendere il sopravvento.

La riprova sta nel fatto che il comportamento degli odiatori non mira a contestare le argomentazioni dell’altro: mira al contrario a distruggere la figura stessa dell’interlocutore, a delegittimarla, ad annichilirla come persona prima e più che come rappresentante, portatore ed espressione di un’opinione contraria. Via via si è consumato fino allo sfarinamento il valore del confronto: perché devo perdere tempo a discutere con chi non riconosco come controparte, un mio pari, tutelato dai miei stessi diritti? Al contrario è un nemico, che va abbattuto ( metaforicamente) e basta. Gli va tolta dignità; gli va negato spazio d’agibilità. Il fatto che spesso questo avvenga usando i Social che garantiscono al tempo stesso anonimato e clamore, è la ciliegina sulla torta. Perché avviene un simile fenomeno? Ognuno può dare la risposta che crede. Ma è difficile negare che ne sia estraneo il progressivo dissolvimento del patto sociale che in una qualsiasi società è a fondamento della convivenza civile. È la politica che è venuta meno, la politica intesa come esercizio di democrazia, come spazio strutturato da regole che consentono la composizione degli interessi legittimi che innervano una collettività. Una quota crescente di cittadini - questo il punto - in quello spazio non si riconosce più: anzi lo contesta apertamente considerandolo nient’altro che una sovrastruttura che agisce per deprivarli dei loro diritti a favore di un segmento privilegiato che succhia risorse e depreda opportunità. Un sentimento generalizzato, primordiale ma non per questo del tutto ingiustificato, che si nutre di manchevolezze ed errori di partiti e leader che nei decenni si sono assommati, e che adesso deborda senza apparenti argini. Se questo è vero, assai difficilmente i rappresentanti di quel segmento, genericamente ammucchiati sotto l’epiteto di “casta”, potranno invertire la tendenza. Né possono bastare leggi e regolamenti seppur inevitabili e benvenuti. È un compito che tocca ai settori più sensibili della società. È il concetto che ha voluto sottolineare anche il ministro Guardasigilli, Andrea Orlando. E dunque è particolarmente significativo che l’esplosivo tema degli haters sia stato messo al centro dei lavori del G7 dell’avvocatura promosso da Consiglio nazionale forense e previsto per settembre. Infatti è ( anche e non solo) dalle professioni che può arrivare la spinta a modificare una deriva che rischia di travolgere e mandare in tilt i vincoli che tengono unità una comunità. Sapendo che, dopo, non c’è una società migliore. Assai più verosimilmente, una progressiva barbarie.