«Il presidente Serraji mi ha inviato alcuni giorni fa una lettera in cui mi chiede il sostegno di unità navali per il contrasto al traffico di esseri umani». Sta tutta in questa frase pronunciata ieri da Paolo Gentiloni che della cosa ha anche informato Angela Merkel- la riscossa italiana allo sgambetto della Francia, alla mossa con la quale Macron ha riportato Parigi al centro della questione libica offrendo ai riflettori l’incontro tra i due leader, Fayez Sarraji il politico riconosciuto dalla comunità internazionale ma che regna solo su Tripoli e parte di Misurata, e Khalifa Haftar il militare che controlla Bengasi e la Cirenaica est, ma soprattutto che ha riconquistato il controllo della principale zona petrolifera.

Navi militari italiane in acque territoriali libiche per il contrasto al traffico dei migranti, ovviamente dopo i formali passaggi che ci saranno in Parlamento, non è una novità: sono mesi che se ne parla, ma all’Italia serviva appunto la richiesta formale del formale governo libico. Richiesta arrivata, «pochi giorni fa» annuncia Gentiloni: è un atto concreto. A differenza di quel che è accaduto al castello a poche miglia da Parigi il giorno prima, conclusosi non con un impegno formalmente sottoscritto, ma solo con una «bozza di lavoro» - parole di Macron- tra Sarraji e Haftar per delle elezioni già comunque alle viste per la primavera dell’anno prossimo. Perché il via libera di Sarraji e Haftar alle elezioni ( che comunque comporteranno non pochi problemi) era già stato concordato nel vertice convocato nel maggio scorso dagli Emirati Arabi, ad Abu Dabi. E invece, quanto sarebbe stato importante se a Parigi si fosse davvero sottoscritto un reciproco impegno, visto che quella dichiarazione recita «il non ricorso alla forza se non in funzione anti- terrorismo».

Bisogna guardare attentamente le immagini del vertice del castello di Saint Cloud, non a caso prontamente twittate da Macron, per cogliere il senso dell’evento: il presidente francese accoglie Serraji con una stretta di mano e un largo sorriso, quando arriva Haftar scattano invece baci e abbracci. È la plastica rappresentazione della politica francese verso la Libia: Parigi, ex potenza coloniale che non ha ancora elaborato il proprio passato, compreso quello recente, continua a seguire squisitamente il proprio interesse nazionale, come fu con Sarkozy che volle la guerra di Libia nel 2011, e sta col generale Haftar. Gli offre - come ha subito notato Le Monde- «la legittimazione politica e diplomatica che sino a quel momento non aveva».

Perché la comunità internazionale invece, l’Unione Europea tanto citata da Macron in campagna elettorale e l’Onu sostengono invece Sarraji, il leader eletto ma non riconosciuto proprio in quei territori che Haftar controlla. A differenza della Francia l’Italia invece non solo sostiene Serraji, ma ha lavorato nel corso degli anni, anche esercitando forte del sostegno di John Kerry una certa leadership, proprio per avviare il processo di riconciliazione nazionale, la formazione di un qualche governo almeno a Tripoli, e per la sua stabilizzazione.

Tutto nasceva nell’alveo dell’amministrazione Obama, il tentativo internazionale era dotare la Libia di una costituzione, e i due inviati speciali dell’Onu - prima lo spagnolo Léon, poi il tedesco Kobler- avevano anch’essi seguito ovviamente questa linea, ed era da Roma che passavano sempre, sulla via per Tripoli o per Skirat, dove nel 2015 si trovò l’accordo sulla quinta bozza di Costituzione, mai veramente entrata in vigore. Un punto importante di quella Carta, l’articolo 8, prevede proprio l’uscita di scena di fatto del generalissimo Haftar, con il passaggio al potere politico del controllo sui militari. Ed è questo, ancora oggi, il vero nodo. Sostenuto da Al Sissi, dagli Emirati, dalla Russia, e nello stravolgimento della politica estera americana con l’arrivo di Trump, ora Haftar ha la legittimazione piena della Francia. Uno schiaffo alla Libia, e alle organizzazioni internazionali Ue compresa, più che all’Italia. Che sulla scena internazionale è, non dimentichiamolo, qualcosa meno di una media potenza.

Né si può ragionevolmente sostenere che sia uno smacco la nomina di Ghassan Salamé come nuovo inviato Onu. Dopo aver rinunciato ( il no fu del presidente del Consiglio Matteo Renzi) a candidare per quel delicatissimo ruolo Romano Prodi ( che ha nel curriculum anche un mandato come inviato Onu per il Sahel), di certo Roma non poteva puntare su una figura di carriera diplomatica come Lamberto Zannier, l’ex segre- tario generale in scadenza all’Osce dopo due mandati. Non solo Gentiloni è da sempre convinto che per quel delicato ruolo non si possa candidare un italiano, ( «Lì noi siamo un ex potenza coloniale, ho fatto fare una ricerca e nessun paese europeo ha mai avuto suoi uomini in ruoli di mediazione nei paesi che sono state colonie», è quel che pensa in proposito), soprattutto sul nome dell’ex ministro libanese non solo l’Italia ha certamente dato il via libera, ma a quanto ci risulta lo ha anche sussurrato. Alle orecchie giuste, evidentemente.

DOPO LA TREGUA NON VINCOLANTE PATROCINATA DA MACRON NEL CASTELLO DI SAINT CLOUD, GENTILONI TROVA L’INTESA CON TRIPOLI CONTRO IL TRAFFICO DI MIGRANTI