Sedici anni dopo, a piazza Alimonda, si sono date appuntamento centinaia di persone. Il 20 luglio 2001, in quella stessa piazza rettangolare tagliata da due lingue di strada, moriva Carlo Giuliani, ventitrè anni, durante i giorni di guerriglia urbana in cui si trasformò il G8 di Genova. A ucciderlo, un colpo di pistola sparato con l’arma di ordinanza dal carabiniere Mario Placanica, poi la camionetta dei carabinieri passò due volte sopra il corpo prima di allontanarsi. I giudici stabilirono che Placanica aveva sparato per legittima difesa e il procedimento aperto nei suoi confronti fu archiviato nel 2003: il Gip rilevò «la presenza di cause di giustificazione che escludono la punibilità del fatto» e lo prosciolse per uso legittimo delle armi, oltre che per legittima difesa. La perizia realizzata durante l’istruttoria stabilì che il colpo che ha ucciso Carlo Giuliani fosse stato sparato verso l’alto e fosse rimbalzato su un sasso scagliato da un altro manifestante. L’investimento con il mezzo di servizio, invece, venne spiegato come un tentativo di fuga e i militari testimoniarono di non essersi accorti della presenza del corpo a terra.

Quest’anno, in concomitanza con la manifestazione di piazza Alimonda che ricorda i fatti di Genova, le parole del capo della polizia Franco Gabrielli hanno riaperto il dibattito su una morte mai spiegata: «A Genova morì un ragazzo. Ed era la prima volta dopo gli anni della notte della Repubblica che si tornava ad essere uccisi in piazza. A Genova, un’infinità di persone, incolpevoli, subirono violenze fisiche e psicologiche che hanno segnato le loro vite. E se tutto questo, ancora oggi, è motivo di dolore, allora vuol dire che, in questi sedici anni, la riflessione non è stata sufficiente». Proprio queste parole sono state ricordate, in piazza, dal padre di Carlo, Giuliano. Che ancora non si è rassegnato al velo di silenzio calato sulla morte del figlio.

A sedici anni da quel proiettile sparato in piazza Alimonda, che cosa resta?

Resta la voglia di verità, che non diminuisce e non demorde. Lo ripeto sempre: io più che giustizia voglio verità. La cosa più scandalosa e dolorosa di questi sedici anni è stata di vederla ostinatamente negata.

Una verità negata dal processo?

A negarla hanno collaborato magistrati incompetenti e inadeguati, periti che erano autentici...( cancelliamo la parola, ndr), ufficiali dei carabinieri che dovrebbero fare ben altro, ma anche la stampa e l’informazione tutta, che si sono messi al servizio spregiudicato del potere. Noi, però, non smetteremo di chiedere la verità per la morte di Carlo: questo vuole, anzi pretende, tutta la la gente sana che viene ogni anno in piazza Alimonda. Il 20 luglio, in quella piazza vicino al cippo di Carlo, c’erano ottocento persone, e non è una cosa facile di questi tempi: una manifestazione assolutamente pacifica, bella e piena di voglia di verità.

Lei dal palco della commemorazione ha commentato positivamente le parole del capo della Polizia Gabrielli.

Ma certo, come si fa a non apprezzare le parole di un capo della Polizia che finalmente dice che ciò che è successo al G8 di Genova è stato una vergogna? Io però insisto su un punto: apprezzo queste parole, ma vorrei apprezzare anche la loro attuazione pratica in tante situazioni.

Gabrielli ha anche detto che, se fosse stato al posto del suo predecessore Gianni De Gennaro, si sarebbe dimesso.

Guardi, in questi anni De Gennaro ha scalato tutte le gerarchie, con incarichi uno dopo l’altro. Ecco, io considero le continue promozioni di De Gennaro persino ridicole per un Paese che vuole considerarsi normale. Come si fa a dire che De Gennaro non fosse responsabile per i fatti del 2001 a Genova? Era il capo della Polizia e, anche se era a Roma, comandava tutto per telefono. Io credo che far passare il responsabile di quel G8 da una poltrona all’altra abbia dell’incredibile. De Gennaro è stato il capo del dell’Interno con Amato, il sobrio Monti lo ha nominato sottosegretario alla Presidenza del consiglio e Letta lo nominò presidente di Finmeccanica, la più grande industria pubblica del Paese, non so bene con quali titoli. Ho chiesto spiegazioni a tanti, ma nessuno mi ha saputo dire perchè.

Secondo lei, le parole di Gabrielli ci avvicinano a quella verità di cui parlava prima?

Me lo auguro, certo. Perchè il fatto più grave accaduto a Genova, cioè l’uccisione di un ragazzo, non è stato ritenuto degno nemmeno di un processo.

Al contrario di quanto avvenuto con le inchieste sulla Diaz e Bolzaneto?

Lo ripeto costantemente: su alcuni fatti gravissimi di Genova verità si è fatta, grazie al valore dei magistrati che se ne sono occupati. Non ignoro che Enrico Zucca, Cardona Albini e Petruzzella si sono occupati delle inchieste sulla scuola Diaz e su Bolzaneto, anche a rischio della propria esistenza. Questi magistrati hanno sconfitto il primo giudizio emesso nel 2008, che definiva quelle alla Diaz “perquisizioni legittime” e Bolzaneto “distribuzione di caramelle e cioccolatini”. Sono ricorsi in appello e poi in Cassazione, fino ad arrivare a dire che alla Diaz si è commessa una delle più grandi porcherie di questo Paese, una vera “macelleria messicana”, espressione adoperata non da un pericoloso anarco- insurrezionalista ma dal vicequestore Michelangelo Fournier, che pure faceva parte nel gruppo della Mobile della Polizia, diretto da Vincenzo Canteriministero ni. A Bolzaneto altro che cioccolatini e caramelle: vennero perpetrate autentiche torture, tra le più schifose che si possano immaginare.

Sulla morte di suo figlio Carlo, invece, come mai non si è giunti a nulla?

E’ stato archiviato tutto, sulla base di uno schifoso... ( anche qui cancelliamo la parola pronunciata da Giuliani, ndr) elaborato da quattro autentici ( altra parola cancellata da noi, ndr). Faccio i nomi: i periti Carlo Torre, Paolo Romanini, Pietro Benedetti e l’esperto di fotografia Nello Balossino. Immagini un po’, un esperto di fotografia che accetta l’invenzione che il carabiniere abbia sparato per aria, quando un filmato mostra chiaramente che, quando spara, la pistola è assolutamente orizzontale e parallela al suolo e quindi il colpo è diretto.

Come è stato possibile?

Con l’ausilio di foto che potrei definire fuorvianti. Quella più diffusa, anche sulla stampa, è quella scattata da Dylan Martinez e mostra Carlo vicinissimo alla jeep dei carabinieri. Peccato che i filmati mostrino che Carlo era distante quattro metri dalla camionetta quando ha sollevato l’estintore per cercare di difendere gli altri e anche se stesso da una pistola puntata, accompagnata dalle grida «sporchi comunisti vi ammazzo tutti». Ancora, mi chiedo come si possa considerare quello subito dai carabinieri un “attacco terribile dei manifestanti”, quando un filmato della Polizia mostra che dal momento della fuga dei carabinieri allo sparo passano esattamente trentacinque secondi. Un attacco terribile, portato avanti da una cinquantina manifestanti, durato non più di trentacinque secondi? Eppure queste sono state le dichiarazioni degli ufficiali dei carabinieri, che considero persone inadeguate a ricoprire quell’importante ruolo che dovrebbero svolgere.

Sempre dal palco del 20 luglio, lei ha detto che, quando a commettere abusi o addirittura uccisioni sono i carabinieri, «in questo Paese non succede nulla. Non c’è la possibilità di aprire processi nei confronti degli appartenenti all’Arma e questo è un problema che intacca la democrazia». Che cosa intende?

Innanzitutto specifico, io mi sono riferito ad alcuni reparti dei carabinieri, perchè non generalizzo mai in queste affermazioni. Per spiegarmi le riporto un fatto: la sera di quel 20 luglio, il “Tuscania”, che è uno dei raggruppamenti più famosi dei carabinieri, cantava “Faccetta nera”. Si è scandalizzato qualcuno di questo fatto indegno, che mortifica l’arma alla quale appartengono ed è una sfida alla Costituzione? Secondo fatto: non c’è una vittima che sia stata colpita dai carabinieri che abbia avuto giustizia. Non solo Carlo, il caso più clamoroso degli ultimi anni è quello di Stefano Cucchi. Un ragazzo ammazzato da quattro carabinieri nella caserma è stato giudicato morto per mal nutrizione. Ma si può dire che sia morto per malnutrizione un ragazzo coperto di lividi dalla testa ai piedi? In Italia accade.

Per la Polizia, invece, questa impunità non vale?

Nei confronti della Polizia i processi ci sono stati: alla Diaz sono cadute delle teste, anche se adesso gliele hanno rimesse sul collo e, nel frattempo, i responsabili sono stati tutti promossi, e mi riferisco non a quelli che hanno picchiato, ma a quelli che hanno elaborato lo schifoso falso di portare delle molotov dentro la scuola per incriminare i manifestanti. I poliziotti della Diaz e di Bolzaneto sono stati condannati, come sono stati condannati gli assassini di Federico Aldrovandi, anche se a pene ridicole di 3 anni e mezzo a testa. Sa, invece, quanti anni hanno preso venticinque manifestanti di Genova, accusati di devastazione e saccheggio? 16 anni, in primo grado. Per fortuna la Cassazione ha ribaltato l’esito del giudizio, assolvendo quindici di quei venticinque, perchè avevano risposto a “cariche violente e ingiustificate dei carabinieri”. Non serve ripeterlo: anche in quel caso nessuna inchiesta contro il comportamento dei carabinieri è stata aperta. Ecco, io questo lo considero un problema per la democrazia.

Gabrielli ha aggiunto che, oggi, un’altra Genova non sarebbe possibile, perchè da quei tragici fatti si sono tratti insegnamenti. Lei ci crede?

Io voglio crederci, e lo faccio perchè rispetto Gabrielli, non ho di lui alcun giudizio negativo e quindi mi auguro che davvero le sue parole possano essere vere. So per certo che all’interno della Polizia molte cose sono cambiate in questi anni e che è davvero più difficile che un altro G8 accada, ma i rischi ci sono sempre e io mi auguro che le parole trovino assoluta rispondenza nei fatti.

Sono passati sedici anni dalla morte di Carlo. La sua memoria è oggetto di strumentalizzazioni?

Guardi, al di là di certe sciocchezze che vengono ripetute, la memoria di Carlo rimane. Il giorno dopo l’elezione della giunta di destra, qui a Genova, il sindacato di polizia Coisp ha chiesto di eliminare da Piazza Alimonda il cippo di Carlo. Ecco, il sindaco neoeletto ha risposto nel modo più intelligente possibile, cioè dicendo che non era una priorità della sua giunta. Al netto di queste provocazioni ridicole non mi pare che ci siano strumentalità intorno a questa vicenda.

Cosa resta, oggi, di quel tragico 20 luglio?

Rimangono tante persone in piazza, senza simboli politici, desiderose di avere un po’ di verità e magari anche un pizzico di giustizia intorno all’uccisione di un ragazzo di ventitrè anni che non meritava di morire così.