«Se non ci sarà una svolta di merito sull’agenda di governo sulla questione economica e sociale, andranno a prendere voti dalla destra, che su alcuni punti sembra più vicina di noi». La direzione nazionale di Mdp consegna un messaggio minaccioso a Paolo Gentiloni per bocca di Roberto Speranza. «Noi non siamo per l’avventurismo o l’irresponsabilità ma siamo di fronte a un problema. Chiediamo al governo di ascoltare le nostre proposte», dice il coordinatore del partito scissionista. Ma la sua è la posizione più mite rispetto ai toni che si sono ascoltati in assemblea. Il più duro è Massimo D’Alema, acclamato come un capo dal gruppo dirigente. Nel mirino delle sue invettive, il decreto sulle banche venete. «È un cadeau alla grande borghesia che, guarda caso, è proprietaria dei grandi giornali. Esattamente come nel caso del salvataggio di Mps», dice il leader Massimo dal palco, accompagnato dagli applausi dei presenti. Da oggi il governo sa che non potrà tirare la corda a oltranza con gli ex “democratici”.

Ma l’atteggiamento da tenere nei confronti di Gentiloni non è l’unico argomento che accende la platea. Sul tavolo della direzione c’è un altro report: le condizioni del matrimonio con Giuliano Pisapia. Su un punto sono tutti d’accordo: creare un nuovo soggetto a sinistra del Pd in grado di rosicchiare consensi al partito renziano. I distinguo, semmai, si presentano sul come. Perché se Pierluigi Bersani è convinto che assecondare le parole d’ordine pronunciate in piazza Santi Apostoli da Pisapia sia prioritario, D’Alema crede che non si debba correre troppo. Va benissimo lavorare alla creazione di un partito guidato dall’ex sindaco di Milano, è il ragionamento del leader Massimo, l’importante però è che non siano i centristi a monopolizzare il nuovo contenitore. E visto che Pisapia e Tabacci non sono riconducibili alla storia degli eredi del Pci, tanto vale allargare il campo alle altre forze di sinistra che oggi non sembrano interessate al progetto dell’avvocato milanese: Sinistra Italiana, Possibile e le varie anime intervenute al Teatro Brancaccio poche settimane fa. «Sono d’accordo a costruire un nuovo gruppo dirigente, ma voglio sapere i nomi dei componenti, capire chi sono e dove si riuniscono. Altrimenti diventa un problema», dice un acclamatissimo D’Alema in direzione. L’obiettivo dell’ex presidente del consiglio non è di far nascere un Pd in miniatura, ma di battezzare una creature molto simile a quel che fu il Pds. Ma la sua, per ora sembra una scommessa al buio, visto che Fratoianni e Montanari non fanno altro che lanciare messaggi di chiusura all’indirizzo di Pisapia. E per quanto l’assemblea si spelli le mani per applaudire l’intervento del leader coi baffi, tutti sanno che il tempo a disposizione è poco e, in mancanza di un accordo reale con la sinistra sinistra, prevarrà la linea Bersani, più incline a lanciarsi subito nella nuova avventura di “Insieme” senza porre troppi paletti.

L’ex segretario del Pd non interviene, ascolta le parole di D’Alema e poi abbandona l’assemblea. «Chiunque abbia assistito alla riunione di oggi avrà visto che sul punto di fondo siamo d’accordo e che non esistono divisioni né tra noi e Pisapia, né tra me e D’Alema, né quante altre divisioni si inventano», dice Bersani uscendo dalla direzione. «Siamo tutti d’accordo sul fatto che vogliamo fare un nuovo soggetto politico progressista, plurale e popolare. Non sarà un listone ma una forza grande alternativa alla destra incombente». L’importante è non spaccarsi prima di nascere.