È stato pubblicato qualche giorno fa un rapporto del Censis sulla professione dell’avvocato, dal quale risultano due cose: la prima è che l’immagine dell’avvocato nell’opinione pubblica risente della crisi economica e del clima generale - che certo non è favorevole – e tuttavia resta un’ottima immagine; la seconda è che l’elemento fondamentale che erode questa immagine è la sfiducia ormai abissale della gente nel sistema- giustizia.

Prima di accennare a un paio di riflessioni trascrivo i passaggi fondamentali di questo rapporto, senza cambiare una virgola e senza interpretarli: «Nell’analisi puntuale dei risultati, secondo gli italiani, gli avvocati godono ancora di un discreto prestigio sociale pur non essendo considerata, quella forense, tra le attività professionali in assoluto più prestigiose. Oltre l’ 80% degli italiani attribuisce alla professione di avvocato un livello di prestigio buono ( 60%), quando non addirittura ottimo ( 20%). Dunque, nonostante le evidentissime difficoltà strutturali e congiunturali attraversate dalla professione, non siamo certamente di fronte a una caduta libera del prestigio degli avvocati (...) Il prestigio degli avvocati resiste al giustizialismo

«Peraltro, nel corso dell’ultimo quinquennio il prestigio della professione forense è per la larga maggioranza degli intervistati ( 63%) rimasto invariato o è, addirittura, aumentato. L’immagine e la reputazione della classe forense dunque restano positive, in uno scenario tutt’altro che facile (...). «Ad influenzare negativamente l’immagine dell’avvocato è, per il 60% degli italiani, un fattore per così dire “esogeno”, non riconducibile almeno direttamente ad una responsabilità imputabile alla categoria forense, e, cioè, il cattivo funzionamento del sistema giudiziario del Paese (...).

«A fronte di una immagine e una reputazione che è tutto sommato positiva della figura dell’avvocato, è emerso contestualmente un sentimento di profonda sfiducia degli italiani nel sistema giudiziario inteso nel suo complesso. Secondo i tre quarti degli italiani il nostro sistema giudiziario non garantisce pienamente la tutela dei diritti dei cittadini; per quasi il 60% la situazione negli ultimi anni è anche peggiorata; oltre il 50% degli italiani ha addirittura dichiarato di aver rinunciato alla tutela di un proprio diritto per la scarsa fiducia che ripone nel sistema giudiziario. «Se l’immagine e la reputazione degli avvocati non sembrerebbe aver risentito più di tanto del profondo deterioramento del livello di fiducia riposto nel sistema giudiziario, certo è che il sistema giudiziario è e rimane lo scenario in cui gli avvocati operano. L’abbandono di campo per sfiducia da parte dei cittadini può trasformarsi per gli avvocati in una emorragia di opportunità professionali stante una fase congiunturale di per sé già estremamente difficile».

A me la lettura di questo rapporto - che comunque segnala la difficoltà dei rapporti tra avvocati e opinione pubblica, e registra il permanere di un gran numero di stereotipi negativi sulla professione - sollecita una domanda e una osservazione.

La domanda è questa: quali sono le ragioni di quelle che il Censis definisce «difficoltà strutturali e congiunturali» ? Io ne vedo una, soprattutto. Di tipo culturale. Il clima diciamo così – giustizialista che prevale nell’opinione pubblica sostenuto da un sistema dell’informazione – stampa e Tv – nel quale il pensiero unico del populismo giudiziario è largamente prevalente. L’idea che la società moderna abbia bisogno di punizioni più che di diritto non è solo il risultato di uno spontaneo moto popolare, o plebeo, ma è soprattutto il risultato di vaste campagne di stampa che hanno spinto l’opinione pubblica verso sentimenti e pulsioni molto lontani dallo Stato di diritto. ( Anche questo rapporto del Censis è stato commentato da alcuni giornali, persino di orientamento liberale, come Repubblica, con articoli, per esempio quello di Alessandro De Nicola su Affari e Finanza, volti solo a gettare un po’ di fanghiglia sull’avvocatura).

In questa situazione, da un lato c’è da tirare un respiro di sollievo, se è vero che comunque il buon none dell’avvocato resiste. Dall’altro è giusto preoccuparsi, perché la spinta a dipingere il diritto, e dunque la professione dell’avvocato, come l’ostacolo alla giustizia e alla modernità, è una attività molto pericolosa e che ormai ha conquistato gran parte della nostra intellettualità. Gli avvocati si trovano piuttosto isolati nella battaglia per contrastare questa tendenza.

L’ osservazione che mi suggerisce il rapporto del Censis riguarda la centralità della questione giustizia, che emerge con assoluta nettezza. Noi non sappiamo chi governerà l’Italia nei prossimi anni. L’incertezza politica regna sovrana. Però è abbastanza facile prevedere che il modo nel quale chi avrà il potere vorrà e saprà affrontare la questione giustizia, determinerà in gran parte il futuro del nostro paese. Futuro inteso nel senso di “civiltà”, non solo di prosperità. Forse la questione giustizia è diventata la numero 1. Perché coinvolge molte sfere diverse: quella del diritto, naturalmente, ma anche quella economica, quella dei rapporti politici, e soprattutto quella della cultura e della formazione dello spirito pubblico.