«Se chi chiede l’attuazione della Costituzione e la costruzione di un programma partecipato fondato sui diritti al lavoro, all’istruzione, alla salute è un pericoloso sovversivo, allora siamo messi davvero male». Anna Falcone, ex vicepresidente dei comitati per il No e tra gli organizzatori dell’assemblea di domenica scorsa al teatro Brancaccio, risponde così a Massimo D’Alema che sul Manifesto ha parlato di una riunione in cui «c’era un po’ di estremismo».

I fischi del al Brancaccio erano rivolti a Gotor, a Mdp o solo a Giuliano Pisapia? A chiunque fossero rivolti, erano i fischi di pochi, di fronte alla volontà di ascolto di tutto il resto della sala. Chi fischiava è stato fatto uscire. Del resto, la richiesta di coerenza e di chiarezza sui comportamenti e sulle scelte è legittima, ma va espressa nelle forme e nei modi di un confronto civile e aperto, ma costruttivo. Quello che vorremmo sapere da “Art. 1” è se alla scelta di un nome bellissimo, che richiama la centralità del lavoro e i principi di democrazia e sovranità popolare su cui di fonda la nostra Repubblica, seguirà anche una linea politica coerente e coraggiosa, che consenta veramente di rovesciare le politiche di distruzione dei diritti e dello Stato sociale perpetrate in questi anni. Noi non aspettiamo altro. Fiduciosi.

Soprattutto tra chi non ha mai militato nel Pd c’è una diffidenza di fondo nei confronti dell’ex sindaco di Milano. Non gli avete mai perdonato il Sì al referendum? Qui non è un fatto personale, ma di metodo: noi pensiamo che l’unità, non della vecchia sinistra, ma di quella che non c’è ancora, vada trovata non a partire dal leader, ma dalle priorità e dal programma con cui ci presentiamo al Paese. Le persone che il 18 hanno riempito il Brancaccio non erano né la “sinistra radicale”, né pericolosi rivoluzionari, ma pezzi di società che non è più rappresentata: insegnanti, precari, partire iva, attivisti del sociale, giovani, disoccupati o lavoratori sottopagati. Persone che si riconoscono nella Costituzione e vorrebbero solo vedere attuati i diritti e la redistribuzione equa dei doveri e del carico fiscale. Perché troppi partecipano alla creazione della ricchezza e pochi ne godono. È una democrazia bloccata che richiede un “upgrade”. Anche per la tenuta sociale del Paese: la sicurezza si garantisce finanziando le politiche sociali, non mando decreti securitari come il decreto Minniti.

Pisapia dovrebbe dire chiaramente “mai col Pd renziano” per poter essere considerato parte integrante di un’Alleanza popolare alternativa ai dem? Credo che Pisapia dovrebbe prendere atto del fatto che il Pd renziano ha subito una mutazione genetica che lo porta molto più a destra di quel centro che vorrebbe federare, e che non ci sono le condizioni per dialogare con chi ha detto a chiare lettere che non è interessato a ricostruire il centrosinistra. Ed ha ragione: le alleanze si fanno fra forze con identità e programmi affini, non con chi ha una idea di società opposta. Noi stiamo creando, al contrario, le uniche condizioni possibili per una unità vera e solida: non accordi tattici, ma una convergenza sui programmi e sulle priorità delle persone.

Perché riproporre l’Ulivo è un’idea fallimentare? Perché non si risolvono le emergenze presenti con le formule del passato. la ' Terza via” ha fallito: per rispondere al dramma di generazioni intere bloccate dalla disoccupazione e dal precariato, ai 12 milioni di italiani che hanno rinunciato a curarsi bisogna attuare non una politica di compromesso, ma di coraggio. Vengono prime le persone e poi il pareggio di bilancio, per tornare a crescere questo Paese ha bisogno di investimenti pubblici.

E la sinistra può ancora permettersi di “mettere paletti”, oppure, come dice D’Alema, «per noi è l’ultima chiamata, non possiamo permetterci una rottura» ? Noi infatti non stiamo mettendo paletti, stiamo chiedendo alla sinistra e a chi si riconosce nel progetto costituzionale di essere conseguente con la sua identità e con la domanda di giustizia sociale che viene dai cittadini. Bisogna smetterla di proporre soluzioni subalterne di appoggio al governo degli altri. Noi pensiamo a una forza di governo, ma che serva a ripristinare i diritti rubati, non a sostenere chi li ha cancellati. Questa sì che sarebbe una scelta minoritaria e incomprensibile. Basta vedere ciò che è accaduto in Francia, dove la sinistra unita avrebbe vinto, ma sulle posizioni più coraggiose di Mèlenchon, che ha raccolto intorno a sé anche molte forze civiche, e in Inghilterra, dove il socialista Corbyn ha guadagnato più di dieci punti sui conservatori con un programma centrato sul lavoro e i diritti sociali.

Anche in Italia c’è il rischio che alle prossime Politiche si presentino due liste a sinistra del Pd… Sì c’è, ma se sarà così non dipenderà da noi. Noi stiamo cercando di costruire ponti e far capire che la prima alleanza da ricostruire e con i cittadini. È la loro fiducia che va riconquistata, la loro partecipazione. I tatticismi e le lotte per la leadership non fanno che allentarli sempre di più.

Oltre ai programmi chiari, serve necessariamente un leader. Voi come individuerete il vostro? Scegliendolo in base al criterio della credibilità e della coerenza con il programma che scriveremo insieme. Sempre con metodo democratico e magari con un meccanismo molto più avanzato delle primarie.

Parteciperà il primo luglio all’iniziativa indetta da Pisapia? Noi lo abbiamo invitato. Vedremo se ricambieranno. Per noi non ci sono chiusure pregiudiziali, solo una irrinunciabile esigenza di chiarezza e di coerenza.