«Non si tratta neppure di scrivere una nuova legge. L’articolo 103 del codice di procedura penale esiste già. Stabilisce che le conversazioni tra gli avvocati e i loro assistiti non sono utilizzabili nelle indagini. E quella norma esiste perché l’articolo 24 della Costituzione sancisce l’intangibilità del diritto di difesa. Che telefonate del genere vengano trascritte nei brogliacci è strano. Se poi finiscono sui giornali ci accorgiamo che quella garanzia costituzionale è stata negata». Il sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore vuole sottrarre la vicenda del giorno alla polemica sui presunti bavagli alla stampa.

Fa notare come la pubblicazione della telefonata fra Tiziano Renzi e il suo avvocato Federico Bagattini su La Verità e sul Fatto «ci ponga di fronte a una questione completamente diversa».

In che senso, sottosegretario?

Nel senso che di solito ci troviamo sospesi tra due interessi: la tutela della privacy e il diritto di cronaca. Il dibattito che si trascina da anni riguarda specificamente il bilanciamento tra queste due esigenze. Ma la segretezza delle comunicazioni, di qualsiasi tipo, tra il difensore e l’assistito, non c’entra nulla con tutto questo. Qui si tratta del diritto di difesa, di una garanzia specificamente tutelata dalla Costituzione. Tanto è vero che un articolo del codice di rito, il 103 appunto, sancisce l’impossibilità di intercettare quelle conversazioni e, qualora fossero captate per qualche motivo, la loro inutilizzabilità. E allora, non dovremmo neppure arrivare a discutere del fatto che quel testo sia finito in edicola. Quel testo non doveva proprio esistere.

Com’è possibile che gli agenti incaricati dalla Procura di Napoli l’hanno trascritto, allora?

In molte Procure si segue una regola semplice: quando l’agente si imbatte in una telefonata in cui l’indagato parla con il suo legale, si limita a prendere un appunto in cui annota semplicemente una dicitura: ‘ Conversazione protetta’. Su questo, devo dire, c’è un curioso antefatto di cui sono stato diretto partecipe e che riguarda proprio la Procura di Napoli.

Di che si tratta?

Visto che le intercettazioni tra avvocato e assistito sono un tema tra i più delicati, proprio nel capoluogo partenopeo la Camera penale organizzò un convegno per discuterne, e intervenni personalmente. Ricordo la data: era il 6 marzo 2016. E ricordo chi c’era: l’allora procuratore di Napoli Giovanni Colangelo e il sostituto Henry John Woodcock.

Ah: e Woodcock cosa disse?

Né lui né altri osarono mettere in dubbio quanto prescrive la legge, ovviamente: e cioè all’articolo 103 si può derogare solo nel momento in cui chi ascolta la telefonata comprende che i soggetti intercettati sono nell’imminenza di commettere un reato. A quel punto, semplicemente, si procede d’urgenza per impedire che quel reato si consumi. Ma visto che si tratta di un caso estremo, quel giorno avvocati e magistrati discussero non sulla utilizzabilità di un simile colloquio in un’indagine, ma addirittura sull’opportunità che una conversazione tra avvocato e assistito possa essere ascoltata. Non trascritta, ma semplicemente ascoltata. Ci rendiamo conto?

Mi rendo conto: ma com’è allora che è finita sui giornali un’intercettazione ordinata proprio dalla Procura di Napoli?

Premesso che l’uso di un simile colloquio travalica un principio di base della Costituzione e della democrazia, ovvero la garanzia del diritto alla difesa, premesso questo, che ci sia anche solo una trascrizione di quella telefonata è molto discutibile. E però, visto che è successo, da sottosegretario alla Giustizia non posso che attendere l’esito degli accertamenti ordinati su questa vicenda dal ministro guardasigilli.

Il presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin ha annunciato che chiederà un incontro con il Capo dello Stato per sottoporgli la gravità delle violazioni in materia di conversazioni tra i legali e gli assistiti.

Parliamo di un principio costituzionale violato e di un tema che merita assolutamente di essere approfondito ai più alti livelli istituzionali. Faccio anche fatica a collocarlo nella discussione intorno alle nuove norme sulle intercettazioni, che tengono in equilibrio le esigenze d’indagine con il diritto alla privacy. Norme che fanno una cosa semplicissima: tradurre in regola generale le circolari che, per primi, hanno adottato i vertici di due importanti uffici inquirenti: il procuratore di Roma Pignatone e il procuratore di Torino Spataro.

La delega sulle intercettazioni ripropone quelle circolari?

Le norme relative al divieto di trascrivere le conversazioni prive di rilevanza penale corrispondono al contenuto di quelle circolari. In queste norme peraltro si prevede che i file vengano comunque conservati perché potrebbero successivamente rivelarsi utili alle parti. Quello che è chiaro è che tali regole non ledono in alcun modo i diritti degli inquirenti. Trasformano in legge le loro stesse disposizioni.

Un aspetto che dovrebbe stroncare sul nascere ogni insinuazione sulla coincidenza temporale tra la riforma penale e la ‘ cronaca’ giudiziaria: perché allora non porre la fiducia sul provvedimento?

Il problema che ha reso necessario il ricorso alla fiducia si è presentato al Senato, non alla Camera. Lì il ddl è rimasto fermo due anni, a Montecitorio la commissione Giustizia ci ha messo mano la settimana scorsa e lunedì già si va in aula per la discussione finale.

Pubblicare le conversazioni degli avvocati è l’ultima frontiera del giornalismo forcaiolo?

Mi limito a notare che giornali come il Fatto costruiscono la propria linea editoriale soprattutto sulle suggestioni che un’ intercettazione riesce a creare. Proclamano un teorema e mettono in pagina le conversazioni intercettate per tentare di avvalorare una tesi precostituita. Ognuno fa giornalismo come ritiene opportuno. Ma intanto ci sono aspetti sui quali la Procura di Roma ha aperto un’indagine. Dopodiché l’intercettazione tra un avvocato e un suo assistito dovrebbe porre anche un problema di deontologia. Nessuno mette in discussione la libertà di stampa, ma davvero travalicare un principio costituzionale è segno di libertà? E non mi stanco di ripetere: già è discutibile dal punto di vista giornalistico pubblicare una telefonata tra padre e figlio, ma un colloquio in cui c’è di mezzo l’avvocato non dovrebbe neppure essere trascritto. Ai complotti non credo. Credo alla necessità di garantire caso per caso il rispetto della legge e della Costituzione.