Il governo è uscito rafforzato dalla sgangherata offensiva lanciata dai renziani subito dopo il blitz che ha portato Torrisi alla presidenza della prima commissione al Senato. Non poteva andare diversamente: prendere di mira il governo e poi chiedere addirittura l’intervento del capo dello Stato per la mancata elezione del proprio candidato sono stati passi così improvvidi e autolesionisti da accendere fari impietosi sullo stato dei nervi del Nazareno. La conseguente rotta è stata totale, con tutto lo stato maggiore renziano costretto a rilasciare dichiarazioni una più tonitruante dell’altra in difesa dello stesso governo bersagliato meno di 24 ore prima.

Per Paolo Gentiloni, però, le difficoltà non sono finite. Cominciano sul serio solo ora. La farsesca vicenda ha infatti dimostrato nella maniera più clamorosa che, sul fronte della legge elettorale, la maggioranza non c’è né ci può essere. Gli interessi dei centristi, che si giocano la pelle, e quelli del Pd sono opposti. Peggio: non sono divisioni che riguardino solo la struttura della legge ma valgono anche per quei particolari, come la soglia di sbarramento, che dovranno essere comunque ritoccati. Anche qualora, come è molto probabile, non si riuscisse a varare una vera e propria legge.

Se la legge elettorale dissolve la maggioranza sul fianco destro, le cose non vanno meglio su quello sinistro. Lì la pietra dello scandalo si chiama Def. Il documento verrà presentato martedì prossimo ed è, se non certo, almeno molto probabile che al suo interno troverà posto la nuova tranche di privatizzazione di Poste e Ferrovie. Padoan ha tenuto duro e difeso la decisione di privatizzare anche dopo l’incontro con i parlamentari del Pd. I renziani avevano chiesto espressamente di rinviare di un anno, in modo da aggirare le elezioni politiche, sentendosi rispondere che così facendo l’Italia avrebbe perso troppa credibilità agli occhi severi dell’Europa.

Ma sulle privatizzazioni, e in generale su ogni eventuale misura troppo rigorista, l’ala sinistra della maggioranza, cioè gli scissionisti dell’Mdp, la pensano come il nemico del Nazareno. Inoltre, ancor più di lui, devono quasi obbligatoriamente conquistarsi una connotazione ben definita di sinistra prima delle elezioni. Hanno già chiesto di essere consultati, pur non facendo parte del governo, e chiarito che non potranno votare il Def a scatola chiusa. Anche su quel fronte, nonostante gli scissionisti abbiano tutto l’interesse a difendere il governo, Gentiloni deve quindi aspettarsi qualche guaio. Del resto sin dalla scissione i renziani ammettevano di contare proprio sul Def e sui conseguenti mal di pancia dei loro ex compagni di partito per conquistare le urne subito dopo l’estate. Poi c’è la tensione serpeggiante ma sempre più esplicita e sempre meno sotto pelle tra il ministro dell’Economia e l’ex presidente del consiglio. Per Renzi varare misure impopolari o anche solo tali da smentire i successi dei suoi governi prima delle elezioni sarebbe un suicidio. Per Padoan il suicidio collettivo dell’intero Paese sarebbe invece imbarcarsi in un classico balletto a base di rinvii e giochi di prestigio. Il conto arriverebbe infatti, salatissimo, dopo l’estate: al momento di trattare sulle clausole di salvaguardia e sulla legge di bilancio.

Il Def rispecchierà probabilmente una mediazione: Padoan otterrà le privatizzazioni, Renzi la cancellazione della odiata riforma del catasto. Non sarà pace ma tregua però. I renziani continueranno a puntare, di qui al varo della legge di bilancio, sul rinvio di almeno un anno, il ministro, spinto imperiosamente dall’Europa, tornerà di certo a martellare sulla necessità di nuove entrate.

Sin qui Gentiloni, pur mantenendosi sempre molto leale con Renzi, è riuscito a garantire una non facile mediazione tra Renzi e Padoan e così a evitare uno scontro con Bruxelles altrimenti molto probabile. Ma per il conte che viene da una lunga tradizione di diplomazia vaticana il momento di mostrare sul serio quanto padroneggi quell’eredità diplomatica sta per arrivare solo adesso.