Giulio Di Donato, napoletano, 69 anni, deputato per tre legislature, vicesegretario nazionale del Psi guidato da Bettino Craxi, ora giornalista e saggista, osserva con molte perplessità e qualche timore il caotico dipanarsi della già malconcia Terza repubblica o presunta tale.

Populismo, demagogia, partiti di plastica, Parlamento pieno di nominati: Giulio Di Donato, secondo lei un tale marasma avrebbe preso piede nella disprezzata Prima repubblica?

No, all’epoca c’erano i partiti che rappresentavano un argine, nonostante le loro distorsioni e degenerazioni. Oggi con rammarico dobbiamo constatare che lo spessore dei protagonisti è alquanto modesto e la qualità del dibattito politico è di una pochezza sconcertante. Manca drammaticamente la consapevolezza delle enormi sfide della contemporaneità, così le idee minimaliste alimentano il populismo, principale nemico della democrazia, prodromico a una forma di dispotismo giacobino, incarnata dal grillismo. Il rischio è alle porte.

Perché il rischio è alle porte?

Perché se, com’è possibile, il M5S dovesse conquistare la maggioranza relativa, Grillo sarà chiamato a formare il governo e poiché per ragioni sulle quali non mi soffermo né Di Maio né Di Battista saranno incaricati, probabilmente la scelta potrebbe ricadere su Piercamillo Davigo il quale non ha fatto mistero del suo manifesto ideologico: un governo legge e ordine, funzionale a una stretta democratica basata sulla presunzione di colpevolezza che sovverte il dettato costituzionale. Tutto il resto brulica di sciocchezze, demagogia pura come il referendum sull’euro sul quale nessuno spiega che occorrono passaggi costituzionali o il salario sociale del quale nessuno sottolinea che non ci sarebbero risorse economiche per sostenerlo e che comunque sarebbe, come molti economisti osservano, compresi quelli vicini al M5S, uno strumento di stagnazione, assistenziale. Tutto il contrario, insomma, di ciò che serve.

Come valuta il percorso del Pd alla vigilia delle primarie? Voterebbe Renzi, Orlando o Emiliano?

Senza alcun dubbio Renzi. E’ l’unico leader con personalità e idee, ha governato nel complesso bene, anche se talvolta ha rincorso i grillini sul loro terreno. Ha sbagliato nel personalizzare l’esito del referendum, ma questo è un Paese complicato, refrattario ai cambiamenti. Non si capisce perché bisognava votare contro l’abolizione del Cnel e salvare un Senato che non serve a nulla, del quale tutti hanno ricominciato a parlar male il giorno dopo il voto. Il problema è che qui nessuno sa o vuole affrontare con temi concreti il vento impetuoso del populismo. Le opzioni Orlando ed Emiliano, per concludere il ragionamento sul Pd, non le considero nemmeno.

Quanto manca a questo Paese un vero partito socialdemocratico?

Più che di un grande partito socialdemocratico, abbiamo bisogno di una forza liberal- riformista e solidale, in grado di imprimere il cambiamento nel contesto delle istituzioni europee e di adeguare l’Italia alla sfide della modernità: la formazione, la semplificazione, l’innovazione. Bisogna recuperare competitività tenendo conto dei bisogni della gente, il socialismo moderno deve lavorare cercando di correggere i guasti di una globalizzazione irrefrenabile, compresa l’emergenza immigrati. Questa forza dovrà sapere anche resistere a tutte le tentazioni massimaliste che sono state causa dei tanti fallimenti del passato. A destra, il fronte conservatore non è compatto e nemmeno omogeneo: si rischia di creare una federazione di partiti composta da Forza Italia, membro del Partito popolare europeo, da Lega e Fratelli d’Italia forze antieuropeiste per eccellenza. C’è quindi spazio per un partito progressista che lavori su un ampio e articolato programma capace di ridare forza e contenuti alla politica e di rideterminare il giusto contrappeso alla magistratura, che oggi detta di fatto l’agenda politica.

Berlusconi si rilancia in grande stile: come giudica la sua ennesima discesa in campo?

Il Cavaliere ha avuto l’occasione storica di realizzare in Italia la rivoluzione liberale, ma ha fallito e non per gli intralci di Casini e l’opposizione di Fini. Gli è mancata l’etica politica che rappresenta la spinta per concretare tutte le cose che si ritengono giuste e utili per l’interesse del Paese. Dieci anni fa aveva tutte le condizioni favorevoli, poi si è perso in altre tristi storielle. Gli porto la mia solidarietà perché è la vittima eccellente della legge Severino, ma politicamente credo che sia finito il suo tempo. D’altronde dovrebbe avere la for- za di mettere sotto lo stesso tetto il Salvini che apprezza le repressioni di Putin e la Meloni che invoca progetti sovranisti.

Qual è il suo giudizio sulla vicenda Minzolini?

La legge Severino è una legge inutile, nata su un cedimento emotivo del Parlamento al giacobinismo giudiziario. Nel caso specifico, è probabile che Minzolini abbia fatto uso improprio della carta di credito aziendale, in una Rai tra l’altro dove è successo di tutto, con dirigenti ed ex direttore parcheggiati con fior di stipendi; tuttavia sorge qualche dubbio se il giudice che ha ribaltato la sentenza di assoluzione in primo grado è stato un esponente politico avversario per dieci anni, poi rientrato nei ranghi della magistratura. Auspico in ogni caso che la legge venga riformata al più presto, ma intanto il Senato “salvando” Minzolini ha esercitato un diritto riconosciuto dalla Costituzione.

Lei ha più volte affermato che se non cambia la sinistra è condannata alla marginalità, perché?

Non si affrontano le sfide secondo il vecchio dualismo tra massimalismo e riformismo. La sinistra ha il compito di ridefinire nuovi modelli del welfare, giusti e sostenibili. Per cinquant’anni abbiamo schiacciato sull’acceleratore dei diritti, mai il freno dei doveri. E la macchina sbanda ancora. In tal senso, vedo in Papa Francesco il vero rivoluzionario dei nostri tempi, che si sta muovendo nonostante le rigidità del Vaticano per denunciare le ingiustizie della nostra società.