«È un uomo distrutto, avvilito. Non ha fatto nulla di tutto ciò di cui è stato accusato». Ivana Anomali, difensore del primario ortopedico dell’ospedale Pini, Norberto Confalonieri, all’indomani dell’inchiesta che ha fatto finire ai domiciliari il professionista smentisce categoricamente che quanto contestato dai magistrati sia vero. Non entra nel merito delle accuse - «Chiariremo tutto dopo l’interrogatorio di lunedì, per rispetto della magistratura» - ma chiarisce il punto che più sta a cuore al suo assistito: le lesioni volontarie ai pazienti, quelli che lo hanno fatto finire sulle prime pagine dei giornali con l’appellativo “lo spaccafemori”. Oltre alle accuse di corruzione e turbativa d’asta, infatti, la Procura gli contesta anche lesioni sui pazienti. Sono 62 i casi che per i magistrati sono «sospetti» e sui quali il gip vuole fare maggiore chiarezza. Pioniere degli interventi con tecnica computer assistita, ' super- interventista' con centinaia di interventi l’anno, il primario è stato denunciato dai colleghi. Ed è per questo che pri- ma di chiarire quelli che sono i suoi sospetti sulla violenta tempesta giudiziaria che si è abbattuta su di lui vuole farsi sentire dal gip. «Ci sarà modo di spiegare – afferma l’avvocato Anomali – Ha una sua idea ed è documentata». Le accuse. Secondo la Procura, Confalonieri, in cambio di favori e regali, contratti di consulenza occulti, viaggi e comparsate tv, consentiva alle multinazionali Johnson & Johnson e B. Braun di piazzare le loro protesi in ospedale. Ma l’accusa più pesante, sebbene finora più difficile da dimostrare, è quella relativa ai presunti danni fisici riportati da alcuni pazienti. «Ho rotto un femore a una vecchietta per allenarmi» è la frase che tutti i giornali hanno riportato ieri. «Frasi decontestualizzate e travisate», spiega invece la Anomali. «Tutte le intercettazioni messe sui gior- nali – ha spiegato il legale al Dubbio – hanno sicuramente una chiave di lettura alternativa che non è stata presa in considerazione. Confalonieri continua a ribadire la propria innocenza: non aveva bisogno di fare allenamento, d’altronde, facendo centinaia di interventi l’anno». Il suo curriculum parla chiaro: esegue interventi ogni giorno, per una produzione di circa 2000 prestazioni l’anno e, in prima persona, una media di 500 interventi chirurgici in 12 mesi. Tanto che gli stessi colleghi affermavano: «Non gli rimane che operare le renne». Nelle carte dell’inchiesta si parla infatti di una vera e propria «tendenza all’intervento chirurgico mediante impianto di protesi a massa». Il gip Teresa De Pascale, su richiesta dei pm Fusco e Mantella, ha fatto eseguire anche cinque misure interdittive nei confronti del responsabile acquisti e forniture dell’ospedale di Sesto San Giovanni, e di quattro dipendenti di Johnson & Johnson e B. Braun. I fatti contestati risalgono al periodo compreso tra il 2012 e il 2015, quando il Cto in cui presta servizio il chirurgo da circa 40 anni non era ancora fuso con l’ortopedico Pini.

Sarebbero almeno tre i pazienti che, secondo l’accusa, sarebbero stati operati con la tecnica della ' navigazione chirurgica computerizzata' nella clinica privata San Camillo di Milano, dove Confalonieri operava in regime privato. Alcuni di loro, a seguito di complicazioni, sarebbero poi stati operati nuovamente al Pini in regime pubblico. Secondo l’accusa, Confalonieri avrebbe incentivato gli interventi anche quando non era necessario impiantare le protesi. Il gip ha così disposto il sequestro di 62 cartelle cliniche «per verificare se sono state impiantate protesi senza alcuna necessità clinica e per accertare la gravità delle lesioni cagionate» . Le intercettazioni. «Eh l’ho rotto, è andato (...) per allenarmi su quella che dovevo fare privatamente», si sente dire a Confalonieri mentre parla di una paziente 78enne. «Ho spaccato il femore anche qua... è un periodo di m....». Oppure: «se va in mano a un altro collega sono finito», nel caso di una 40enne uscita con un femore rotto dall’operazione in clinica e da rioperare nell’ospedale pubblico. «La signora anziana aveva già un’altra patologia – spiega il legale -. non è stato un errore volontario: il femore si è frantumato, sono i rischi di operazioni così delicate. Ne parlava con i colleghi con uno slang loro proprio ma non si riferiva a danneggiamenti voluti». Il termine “allenamento”, spiega l’avvocato Anomali, si riferisce anche alla tecnica utilizzata – la cosiddetta “tecnica d’accesso bikini” – relativamente nuova. «L’utilizzo di questo termine dipende dal fatto che proprio per sistemare un femore ha fatto ricorso a questo particolare tipo di intervento – ha aggiunto -. Ma di certo non ha bisogno di allenarsi: è conosciuto in tutto il mondo, uno che tutte le mattine si alza alle 5 per andare a lavoro e torna a casa alle 22. Non può accettare queste accuse e spiegherà anche perché non sono vere». Spiegazioni che il gip ascolterà lunedì prossimo, nel corso dell’interrogatorio di garanzia.