Da Luca Coscioni a Piergiorgio Welby, da Eluana Englaro a Dominique Velati fino a Dj Fabo. La battaglia per ottenere il diritto all’eutanasia lì dove non è ammessa, ha visto in prima fila i radicali italiani. Fra loro abbiamo Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che ha accompagnato Dj Fabo a Zurigo nel suo ultimo viaggio. Ora, con questo atto di “disobbedienza civile”, Cappato rischia il carcere per “istigazione al suicidio”. È con lui che discutiamo dell’ennesimo caso che ha diviso il Paese.

La vicenda di Dj Fabo ha scosso molte coscienze. Lei si è autodenunciato e ha dichiarato di voler accompagnare in Svizzera altre due persone che vogliono finire di soffrire. Cosa rischia e perché?

Vede, da noi in Italia esiste da diversi anni il reato di “istigazione o aiuto al suicido”, per cui si rischiano dai 5 ai 12 anni di carcere. Al mio rientro dalla Svizzera sono andato dai carabinieri della compagnia Duomo per autodenunciarmi, e il magistrato, Tiziana Siciliano, mi ha inserito nel registro degli indagati. Ora, l’accusa di aver istigato al suicidio non a alcun senso, dato che non c’è stato alcun incitamento a togliersi la vita, dato che siamo riusciti a dissuaderlo per qualche settimana di più, facendogli venire la voglia di lottare per il diritto di tutti. L’unico aiuto che ho fornito a Dj Fabo è stato quello di facilitare il contatto con la realtà svizzera, e ottenere l’assistenza medica alla morte che qui in Italia gli è negata.

Secondo lei gli italiani sono pronti per una legge sul fine vita?

Se stiamo a guardare i sondaggi senz’altro: sono favorevoli. Il problema non sono gli italiani, ma i partiti politici, che spesso risultano esser più arretrati dei loro stessi elettori. Così com’è già avvenuto negli anni passati durante la grande stagione dei diritti civili, con il divorzio prima e l’aborto poi. Un recente sondaggio pubblicato dal giornale veneto Il Gazzettino riportava che il 71% degli elettori della Lega Nord è favore- vole ad una legge sul fine vita e sul testamento biologico, ma in parlamento spesso il Carroccio è uno dei partiti fra i più critici a riguardo. L’opinione pubblica si mobilita perché tocca le coscienze di molti, dato che tanti hanno in famiglia casi di sofferenza simile. L’obiettivo è evitare le sofferenze, non crearne di nuove, una cosa che va al di là delle definizioni, che con la politica vanno spesso a braccetto, dato che sono spesso i politici, per girare attorno alla questione, a porre etichette su tutto. Ora, dobbiamo tener presente che l’aumento dell’età media e il relativo progresso tecnologico ci mettono quotidianamente e con maggior frequenza davanti all’aumento del rapporto del processo della morte, che spesso non è più spontanea e naturale. Ed è inoltre fasulla la contrapposizione fra il malato che vuole vivere e chi vuole morire. Pensiamo al caso di Piergiorgio Welby, per esempio. Inizialmente era riuscito a farsi una ragione della sua nuova, da lui non voluta, situazione, ed era riuscito non solo a vivere, ma anche ad essere attivo, conducendo importanti battaglie politiche, inizialmente per consentire il diritto di voto ai cittadini con grave disabilità, la possibilità di disporre di audiolibri, ecc. e solo da ultimo, quando la malattia gli stava togliendo ogni residua capacità e minacciando anche la sua possibilità di comunicare con gli altri, si è fatto avanti il lui il desiderio e il sacrosanto diritto a rinunciare a trattamenti non voluti.

Quanti casi ci sono annualmente in Italia di malati terminali che chiedono il diritto di porre fine alla propria sofferenza?

Purtroppo è difficile fare una contabilità precisa del fenomeno, ma come dicevo prima ce ne sono molti, è una realtà che tocca molte famiglie italiane. L’Istat ha recentemente censito oltre un migliaio di casi, molti dei quali possono esser definiti come “eutanasia clandestina”, cioè persone che si suicidano da sole. Parliamo ovviamente di episodi gravi, come il caso del regista Monicelli che, per porre fine alla propria sofferenza, decide di togliersi la vita gettandosi nel vuoto dalla finestra. Poi c’è il distacco dalle macchine, volto ad ottenere il distacco sotto sedazione terminale, che è legale, ma si situa in una zona grigia, visto che se uno si oppone ci possono essere denunce, In questo caso allora i dati sono molto più alti.

Una delle ultime battaglie di Marco Pannella è stata quella sul diritto umano alla conoscenza. Lei, personalmente, come userebbe concretamente tale diritto umano per portare avanti la battaglia dell’Associazione Luca Coscioni per introdurre una legge sull’eutanasia e sul testamento biologico?

La battaglia radicale sul diritto alla conoscenza che parte dal presupposto di conoscere per poter poi deliberare. In Olanda hanno legalizzato l’eutanasia dopo che è stata condotta un’indagine sull’incremento di casi di eutanasia clandestina. Ecco, in questo caso il diritto alla conoscenza consisterebbe nel conoscere quella che Marco Pannella definiva come “morte all’italiana”, cioè la morte in condizione di sofferenza estrema, che è la realtà dell’eutanasia clandestina.

Come argomenterebbe a un cattolico, lei da laico e radicale, il diritto umano di poter scegliere come morire con dignità?

Non tutti i cattolici sono clericali. Moltissimi sono laici e tanti vivono situazioni descritte prima. Parlerei ad esempio di un concetto teologico cristiano del “libero arbitrio”, che ben si coniuga con la libertà. È un controsenso parlare di “dono della vita” da parte di Dio, se poi essa non può essere vissuta nella piena e totale libertà. La vita senza libertà è come amare senza libertà. Non ha senso… Persino la fede stessa può e deve essere vissuta nella libertà.