Dicono gli intimi che il telefono di Silvio Berlusconi non è mai stato tanto incandescente. E le telefonate provenienti da Forza Italia, aggiungono, sono una minoranza. E’ comprensibile. Dato per politicamente morto più volte di chiunque altro nella storia d’Italia, il redivivo, soddisfatto come un micio consapevole di aver ancora una riserva delle sue nove vite da spendersi, si avvia serenamente a occupare l postazione centrale sullo scacchiere della politica italiana. A breve dovranno passare per Arcore i progetti di una legge elettorale condivisa. Guardando appena oltre le prossime elezioni, sempre intorno a quella villa si articoleranno le manovre per dotare l’Italia di un governo.

La carta che l’ex onnipotente intende giocare ha un nome e un cognome: il governatore del Veneto Luca Zaia. Attualmente impegnato nell’organizzare il referendum per l’autonomia della sua Regione, appoggiato anche da M5S e fatto passare dal Pd con l’astensione, il Veneto è uno dei governatori più popolari e più lodati d’Italia. Come manager, nonostante la ormai lunga esperienza in politica, potrebbe ripercorrere le orme di Parisi e dello stesso Sala in Lombardia. Come leghista per Salvini sarà difficile bocciarlo.

Per la verità il ruggente leghista ha già opposto il suo veto, assicurando che Zaia sta benissimo dove sta. Ma la partita è tutt’altro che chiusa e non è affatto escluso che per bloccare la manovra di Berlusconi Salvini debba pretendere ancora le primarie, nel quale caso Zaia, uomo prudente, probabilmente eviterebbe di candidarsi.

La partita dell’ex Cavaliere è in realtà difficile ma, per quanto stupefacente possa suonare alle orecchie di molti, l’intruso nel ' teatrino della politica' di venticinque anni fa è oggi l’unico che stia giocando di fino, con uno schema non abborracciato giorno per giorno. La chiave, per lui come per tutti, è la legge elettorale, con la data delle elezioni per corollario essenziale. Mercoledì i dotti azzurri hanno preparato la loro proposta di legge elettorale, un intreccio di Porcellum e legge in vigore nelle Province nella quale i primi a non credere sono quelli che la metteranno in campo. La proposta forzista è di bandiera. Serve a entrare in gioco con l’obiettivo di chiudere in tutt’altra maniera.

Berlusconi mira prima di tutto a conservare i capilista bloccati, dal momento che per lui anche più che per i colleghi leader è fondamentale poter disporre di una truppa fedele. Essendo l’interesse condiviso anche da molti che ufficialmente invocano le preferenze è probabile che ce la faccia. Più difficile il secondo passaggio, una legge che attribuisca il premio non alla lista ma alla coalizione. Per Arcore è fondamentale perché, anche qualora riuscisse comunque a coalizzare in toto o in buona parte l’antico centrodestra in un listone, la compilazione dello stesso si rivelerebbe certamente un calvario. La scissione del Pd, però, in questo caso non lo aiuta. Sia Renzi che gli scissionisti, infatti, non hanno alcun interesse a varare una legge che li costringerebbe a riaccostarsi subito dopo essersi scambiati sassate e insulti. L’uomo di Arcore, consapevole di quanta pressione possano esercitare i piccoli partiti in una fase economicamente drammatica e con un Senato sempre in bilico, non dispera. Soprattutto se l’ultimo disperato tentativo renziano di votare l’ 11 giugno fallirà, come è quasi certo, e di conseguenza non ci sarà bisogno di scrivere la nuova legge elettorale nel tempo di un sospiro.

Infine Berlusconi mira ad alzare la soglia di sbarramento portandola dal 3% alla camera e dall’ 8% al Senato in una ' media' del 5% valida per entrambe le camere, in modo da spazzare via la miriade di schegge sedicenti centriste prodotte dall’esplosione del centrodestra e in particolare proprio di Forza Italia. In questo caso, però, la stessa possibilità di ricatto dei partiti minori che permette al pregiudicato di lusso di sperare nel premio di coalizione nonostante Renzi e Grillo rappresenterà un ostacolo serio per l’innalzamento della soglia.

Nonostante abbia di fronte questo percorso irto di difficoltà, Berlusconi sa che le carte migliori le potrà giocare non prima ma dopo le elezioni. Se il tripolarismo verrà confermato dagli elettori, una grande coalizione che taglierà fuori solo Grillo sarà inevitabile. E in quel caso Berlusconi ha una sola certezza in mente: in quel caso Matteo Renzi non potrà guidare un governo appoggiato sia dal suo Pd che da Fi.