Ora che figura tra i promotori di Sinistra italiana, Sergio Cofferati guarda al travaglio del Pd ( il partito che fondò nel 2007 insieme ad altre 44 persone) come la naturale conclusione di un film dal finale prevedibile. E allo stesso tempo incomprensibile.

Non è ancora chiaro se nel suo ex partito ci sia in corso una scissione o no. Lei ha capito cosa sta succedendo?

Sinceramente no ( ride, ndr). Ma non è facile individuare una ragione politica di questa scissione perché non si parla di merito. Non ho avvertito un dissenso nei confronti del Jobs Act, della Buona scuola, dei rapporti con l’Europa. Nel Pd non ci sono differenze: l’area che adesso si candida a uscire ha largamente condiviso le politiche di Renzi. Se poi nel frattempo hanno cambiato idea mi fa piacere, ad oggi non mi sembra. La disputa non ha contenuto, è prevalente solo il tema del metodo. Con qualche incongruenza clamorosa.

Si riferisce al sostegno incondizionato al governo Gentiloni chiesto dalle minoranze?

Hanno detto che avrebbero giudicato Gentiloni atto dopo atto, adesso insistono sulla prosecuzione dell’esecutivo fino a fine mandato senza nessuna distinzione. Ma Gentiloni è la continuazione, senza alcuno scostamento, della politica di Renzi. Come fai allora a dichiarare la tua ostilità al segretario del Pd sostenendo il suo governo?

Prima di uscire dal partito, si è mai sentito parte integrante della minoranza Pd?

All’ultimo congresso, anzi, all’ultima convenzione, perché il congresso non è più previsto dallo statuto, ho sostenuto Gianni Cuperlo e la sua proposta.

Sì, ma dopo la vittoria di Renzi si è mai sentito arruolato nell’esercito della minoranza?

Dopo la vittoria di Renzi, quelli che l’avevano contrastato non hanno dato vita ad azioni conseguenti. In parte lo ha fatto Pippo Civati. Ma i provvedimenti approvati in quella fase avevano il consenso anche di coloro che al congresso si erano schierati contro Renzi.

Non sembra che nutra una grande stima nei confronti dei suoi ex compagni della minoranza. È così?

Per alcuni di loro ho un grande affetto ma, ribadisco, non riesco a capire quali siano le loro intenzioni. Aggiungo che la mancanza di differenze esplicite fa perdere di credibilità alla loro azione e mi dispiace.

Per chi prova affetto?

Per Gianni Cuperlo, senza dubbio. Gli riconosco il merito di pronunciare parole abbastanza chiare che riguardano le modalità e i meccanismi dei rapporti interni al partito. È l’unico che ha provato a fare un’analisi onesta della situazione.

Ma dove andranno gli scissionisti? Non c’è già Pisapia a occupare il campo della sinistra dialogante col Pd?

Tutti mettono in discussione Renzi, ma nessuno l’idea di allearsi con lui dopo il voto. Mi faccia dire una cosa: la proposta di Pisapia, secondo me, ha due elementi assurdi. Il primo è che lui si candida a federare altri senza che gli altri gli abbiano mai riconosciuto un ruolo. Il secondo è che vuole unire varie forze prescindendo dalla politica, perché Pisapia non fa una proposta politica su nulla. Ad aggravare la sua posizione, poi, bisognerebbe non dimenticare che al referendum costituzionale l’ex sindaco di Milano ha fatto la campagna per il Sì, perdendo clamorosamente. Ora, se quella sconfitta viene considerata risolutiva per il futuro politico di Renzi, non capisco perché dovrebbe essere “condonata” a Pisapia. Che, tra l’altro, non ha mai pronunciato una parola critica nei confronti delle proposte renziane. La verità è che Pisapia si candida a sostenere chi vincerà il congresso del Pd. L’ex sindaco mette in conto di fare la stampella dell’ex premier alle future elezioni.

Sergio Cofferati si siederebbe attorno a un tavolo con Massimo D’Alema?

Non ho titolo per fare confronti di questa natura. In ogni caso non avrei nessuna difficoltà a parlare né con D’Alema né con altri autorevoli rappresentanti della sinistra, pur conoscendo e ricordando le loro posizioni su molti argomenti che storicamente ci hanno diviso e sono ancora in campo. Si torna sempre lì: lavoro, diritti, istruzione.

Ma è normale, e questo vale anche per la sua Sinistra italiana, che un partito nasca solo sulla base del suo posizionamento rispetto al Pd?

Non è normale. Un partito dovrebbe avere il suo profilo, i suoi valori e le sue proposte. Le alleanze dovrebbero venire dopo, non possono essere la precondizione. Anche perché la tua autonomia nasce da una configurazione precisa, altrimenti sei subalterno. E anche Sinistra italiana fa molta fatica a darsi una linea. Anzi, penso che la conclusione del congresso fondativo sia una brutta conclusione.

Cosa è andato storto?

Non si sa, ad esempio, quale sia la posizione di Si sull’Europa. Mi convince l’idea di essere un partito antirenziano ma solo se si parte dal merito: economia, scuola, lavoro. Facciamo un’ipotesi: Renzi decide di farsi da parte e il suo posto viene preso da un altro dirigente del Pd, significa che tutto è risolto? Non direi proprio.

Sinistra italiana ha fatto un congresso troppo frettoloso?

No, io speravo che nascesse un anno fa, c’erano tutte le condizioni. Secondo me, paghiamo il prezzo di un ritardo che si poteva evitare. Bisognava mettere in conto lo smottamento del partito di Renzi, sapevamo già che sarebbe arrivato il referendum e che sarebbe stato un passaggio stretto per il Pd. Un anno fa sarebbe stato relativamente più facile tanche rovare elementi di convergenza con soggetti che oggi sono fuori dal perimetro di Si, come Civati.

Anche se con sfumature diverse, infatti, alla sinistra del Pd ci sono già almeno quattro partiti. Che peso potranno avere?

Si rischia la dispersione del voto. Per questo sono convinto sia indispensabile aprire una discussione, su quattro o cinque punti fondamentali, tra i vari partiti che esistono, con quelli che usciranno dal Pd e con il mondo delle associazioni. Sennò si arriva alle elezioni con l’affanno di stare insieme solo per non disperdere il voto, come è già accaduto in passato, senza una visione condivisa. Noi dobbiamo convincere la gente a tornare a votare.