La Direzione del Pd conferma il copione immaginato alla vigilia. Tra Matteo Renzi e la minoranza bersaniana l’incomunicabilità è totale e se possibile è addirittura aumentata. Il segretario annuncia la volontà di andare al congresso in tempi brevi «non per cercare una rivincita dal referendum» quanto piuttosto per far capire agli italiani che il Pd continua a progettare il futuro. Per far questo non servono “caminetti”, cioè gestioni collegiali, oppure agitare minacce di scissione «basate sul calendario» che diventano ricatti. Il punto è un altro: si fa il congresso e chi vince guida il partito mentre chi perde lo sostiene «senza lasciarlo solo come avvenuto  in passato».
Di tutt’altro avviso Bersani: «Basta autoreferenzialità.
La prima cosa è far diventare il Pd garante del fatto che la legislatura arrivi a scadenza naturale, che si voti cioè nel 2018. E nel frattempo il governo metta in atto alcune misure per andare incontro alle esigenze dei cittadini». Michele Emiliano conferma la sua candidatura: «Un congresso senza aver prima fatto la legge elettorale aumenta i rischi di scissione».