In fondo, quando Alessandro Di Battista confessa che, dopo quello italiano, anche a livello europeo, emerge la consapevolezza che non appena i Cinquestelle si avvicinano ad un altro soggetto politico la reazione è di immediata chiusura a testuggine e successivo allontanamento, non fa altro che squadernare il nodo politico di fondo del Mo-Vimento. E cioè se quel tipo di impulso, che è all’origine dello spendido isolamento per il quale i grillini menano vanto considerandolo il loro asso identitario nella manica ( salvo poi dimenticarlo quando si tratta di intavolare accordi di convenienza tipo quello con Verhofstadt), sia una pepita che arricchisce o un sasso che zavorra.

La sensazione è che si tratti di un problema fortemente avvertito e altrettanto fortemente occultato per non incorrere nei fulmini di Casaleggio e negli anatemi di Grillo. Privi di un retroterra che è in primo luogo pre- politico, ossia culturale, ed orgogliosamente estranei ad ogni ancoraggio ideologico- valoriale che valichi il perimetro del Vaffa o dei coretti sull’onestà, è giocoforza che i Pentastellati provochino rigetto nei loro interlocutori: atteggiamento peraltro massicciamente ricercato nonché ricambiato. Vogliamo essere un po’ più cattivi? Forse il bordocampo disegnato dai due dioscuri è fatto apposta per giocare unicamente il match Cinquestelle vs Resto del Mondo temendo che un possibile scambio di maglie a fine gara lasci scoprire la fragilità tecnico- tattica dei giocatori. Malevolenze, appunto: lasciamo stare.

Però il problema politico esiste eccome. E più passano i mesi, più si ingrandisce e minaccia di esplodere al momen- to delle elezioni politiche, qualunque sia la data finale. Guardando la medaglia nel suo rovescio, lo spiega bene Gustavo Zagrebelsky alluvionalmente intervistato da Marco Travaglio sul Fatto: «Chi stipula buoni accordi, dà il segno della propria forza più di chi si isola nella propria diversità». Ergo il punto dolente sono le alleanze: «In democrazia le alleanze e anche i compromessi non sono affatto il demonio. La questione è con chi, a che prezzo e per che cosa».

Ecco, appunto. Con l’Alde, la spinta all’intesa era indirizzata a poter contare di più. Di qui il protocollo d’intesa sottoscritto all’insaputa dei più e tuttavia ratificato, as usual, dal popolo della rete ( che però sulla successiva rottura e rientro nell’Ukip di Farage non è stato consultato. Problemi di connessione Internet, presumibilmente...). E’ andata male, come si è visto. Ma mettendo da parte le consolatorie spiegazioni sull’establishment brutto e cattivo che fa i dispetti, la domanda è chi ha vinto e chi ha perso in quella mano. E cioè se adesso il MoVimento è più forte o più debole, e attenzione: non per l’innegabile figuraccia bensì sotto l’aspetto squisitamente politico. Certo l’uppercut in ambito europeo non può non avere ripercussioni entro i confini. Infatti. Per nulla avallata ufficialmente, era comunque scattata una liaison tanto impropria quanto suadente con la Lega, complice l’idem sentire o giù di lì, sull’immigrazione clandestina. Le giravolte di Bruxelles hanno azzerato quella possibilità: Galvini non si fida più; Grillo peraltro non l’aveva mai presa davvero in considerazione e Di Battista ha glissato.

Dunque si ritorna alla casella di partenza: Cinquestelle alleati mai con nessuno, salvo deroghe studiate e messe a punto a Malindi. Però una volta che la Corte Costituzionale si sarà pronunciata sull’Italicum, quale sarà la bussola grillina? Forse il calcolo è semplice: se passa il ballottaggio, è manna dal cielo perchè così la vittoria è a un passo. Se invece Renzi e Berlusconi stipulano l’accordo sul proporzionale antipasto del governo di larghe intese, tanto meglio: il megafono “populista” contro l’inciucio elettorale fatto apposta per tener fuori i grillini toccherà livelli di decibel mai raggiunti prima.

Già. Ma: semplice o semplicistico? Perchè se non ti poni il tema di accordi possibili o, come dice Zagrebelski, compromessi virtuosi, lo splendido isolamento sarà nient’altro che una splendida gabbia costruita con le proprie mani. La paura della contaminazione è frutto di un pensiero debole: se gli argomenti e le convinzioni poggiano su profonde radici sarà l’interlocutore a doversi preoccupare. Si vedrà. Per il momento, le radici grilline continuano ad alimentare una foresta di consensi. Le ragioni per cui la metà dell’elettorato non vota più e, più o meno, la metà della metà che alle urne ancora ci va vota forze dichiaratamente anti- sistema, sono ancora tutte lì: i partiti tradizionali non riescono a rovesciarle. Per ora a Grillo e soci basta e avanza: l’incantamento elettorale non mostra segni di resipiscenza. E non saranno le fatwe di Virginia Raggi al governo per la morte dei clochard romani a vanificarlo: serve di più, molto di più.