È possibile, in un settore qualsiasi, impostare una strategia basandola su un elemento che rimane muto nell’ombra e poi all’improvviso emerge risultando vincente? Negli scacchi sì, ed è una delle soddisfazioni maggiori per chi gioca. Chissà se lo schema si può trasferire anche in politica. Fatto sta che osservando le mosse di Silvio Berlusconi è proprio quel meccanismo che viene in mente. Ad una analisi superficiale, infatti, risulta che il centro della scacchiera, da dove poi allestire l’attacco definitivo, se lo contengono Matteo Renzi e Beppe Grillo, ciascuno puntando appena possibile ad occupare gli spazi lasciati dall’altro. Qua e là cerca di far capolino Salvini, subito ricacciato indietro. E Silvio? Silente. Interessato ad altre mosse: quelle di Bollorè innanzi tutto. Fortemente proteso a salvaguardare il patrimonio Mediaset e altrettanrto fortemente disinteressato ai giochi di Palazzo. E’ accaduto in occasione del referendum costituzionale, e la voluta sordina è stata letta come un appoggio sotterraneo agli obiettivi dell’allora premier. Sbagliato. Il refrain si ripropone ora sulla riforma elettorale e ogni lettura restroscenista rischia di portare fuori strada. Meglio riprendere la pista Vivendì. Non c’è dubbio infatti che la tutela del patrimonio aziendale è in cima alle preoccupazione dell’ex Cav: è così da sempre e non è certo adesso il momento di mollare. Ne risulta che gli occhiali giusti da inforcare sono quelli che fanno trasparire l’intenzione di Arcore di privilegiare qualunque soluzione e qualunque intesa che serva a raggiungere l’obiettivo di sterilizzare gli attacchi d’Oltralpe. Per intenderci: se per centrare quel bersaglio è opportuno che Gentiloni arrivi fino al 2018, lesti ad innalzare i vessili per il no ad elezioni anticipate. Se invece le cose cambiano fino a trasfigurarsi, perché impedire il ricorso alle urne?

Già: e la politica? Per Berlusconi, è questa la politica. Tutto il resto è come l’intendenza di De Gaulle: seguirà.

Naturalmente tenendo ben chiari gli interessi che l’azione di Forza Italia può garantire. E qui torniamo al discorso di prima: ma con qualche elemento di chiarezza in più. Partiamo, infatti, dal consenso elettorale berlusconiano che vive una paradossale condizione. Se viene impiegato nei ballottaggi, infatti, serve a far vincere l’avversario del Pd, cioè i grillini. Se invece viene contabilizzato ai fini delle intese di Palazzo, lo schema si rovescia: è un bottino in seggi che ha un peso dirimente solo se usato nel dialogo- confronto con il Nazareno. Qualunque sia la partita, insomma, un dato è ineliminabile: quel centro della scacchiera che sembra appannaggio di forze estranee a quelle forziste in realtà può essere conquistato solo grazie ai voti di FI. Un paradosso, appunto. Però assai conveniente per Silvio, che può fare come Brenno e decidere quale piatto della bilancia far prevalere.

Naturalmente i tentacoli rivolti ai Cinquestelle sono i più sdrucciolevoli e, allo stato, è praticamente impossibile che possano stringere la preda. Perciò non rimane che il Pd. Infatti non certo a caso Berlusconi ha in più occasioni caldeggiato un governo di larghe intese per il dopo urne assieme ai Democrat. E il sistema elettorale tedesco, anche qui non a caso, è in cima alle preferenze del leader del centrodestra. Ma attenzione: la strategia in realtà è più sottile e più complessa. Infatti sul piatto dell’eventuale intesa con Renzi o chi per lui, e sempre tenendo ben conto della priorità di Mediaset, Berlusconi adombra di poter arrivare a mettere perfino l’abbandono dello schema che l’ha reso vittorioso negli anni d’oro: l’asse di ferro con la Lega. La generosità non c’entra: caso mai la scaltrezza. Perché l’offerta rompere con il Caroccio salviniano consente anche di porsi come baluardo moderato rispetto all’offensiva populista e della destra lepeniana; terminale del Ppe in Italia; calamita dei tanti spaventati da Grillo ma che piuttosto che votare a sinistra sono pronti a disertare a vita i seggi elettorali. In fondo l’operazione recupero rivolta verso Stefano Parisi ha anche questo sapore. E poi, all’occorrenza, si può sempre cambiare schema: Silvio in questo è un maestro.

Si vedrà. Per adesso sono esercizi di riscaldamento; il match vero comincerà solo dopo il verdetto della Consulta sull’Italicum. Ma il sudoku che più di tutto interessa Berlusconi è cominciato da mesi. Il primo step è stato il sorriso stampato sui volti dei parlamentari al momento del voto di fiducia al governo Gentiloni. Votavano no ma piuttosto contenti di sapere che avrebbero perso. Adesso tocca a Renzi. Il doppio turno è un azzardo che può trasformarsi in una rovina: lo sa lui e lo sa anche Silvio. Mentre il proporzionale rappresenta un cedimento troppo grande. Serve una via di mezzo: Silvio è nella modalità wait and see. E Mediaset? Ci pensa Confalonieri. Al referendum si è speso per il Sì. E poi come dimenticare che con l’attuale premier esiste una entente cordiale dai tempi in cui era titolare delle Comunicazioni nel governo Prodi? Un incarico durato due anni...