Alla fine si è giocata sul filo dei numeri la decisione della Corte costituzionale che ieri mattina, dando il via libera al referendum per la cancellazione dei voucher e a quello che estende anche alle sub- appaltatrici le responsabilità delle ditte che si sono aggiudicate un appalto, ha invece bloccato il quesito numero uno: quello volto ad abrogare la riscrittura dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori operata dal jobs act. Di certo la decisione non è stata presa bene dalla Cgil che annuncia battaglia: «Valutiamo il ricorso alla Corte europea», ha infatti dichiarato Camusso. Un problema in più per il premier Gentiloni che ieri ha subito un piccolo intervento al cuore.

Alla fine si è giocata sul filo dei numeri la decisione della Corte costituzionale che ieri mattina, dando il via libera al referendum per la cancellazione dei voucher e a quello che estende anche alle sub- appaltatrici le responsabilità delle ditte che si sono aggiudicate un appalto, ha invece bloccato il quesito numero uno: quello volto ad abrogare la riscrittura dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori operata dalla legge cosiddetta jobs act.

Pochi gli appigli per capire la decisione della Corte, e non solo perché essa è stata comunicata senza aprire nemmeno uno spiraglio sulle motivazioni: occorrerà attendere il 10 febbrario, termine ultimo entro il quale la sentenza deve essere scritta, ridiscussa da tutti i giudici riuniti, e infine resa pubblica. E se si considera che la Corte il 24 di questo mese dovrà decidere sulla sorte dell’Italicum, è chiaro che le motivazioni saranno rese note solo quando il Paese sarà in una nuova era geologica.

Ma soprattutto la sentenza non sarà scritta dal relatore, che era la giuslavorista Silvana Sciarra, bensì da uno dei vicepresidenti, il giudice Lattanzi. E questo é il segno più chiaro del fatto che il collegio ha preso una decisione a maggioranza, e una decisione contraria a quanto il relatore pro- poneva: il massimo del dissenso consentito, in un sistema come quello italiano dove non esiste la dissenting opinion come alla Corte suprema statunitense.

Che la sentenza abbia un redattore e non un relatore significa anche, appunto, che la decisione è passata di misura: mancava il giudice ( ed ex presidente) Criscuolo ma, se fosse stato presente, con un Collegio di 14 giudici si sarebbe rischiato di mettere in posizione da ago della bilancia il presidente Paolo Grossi, il cui voto in caso di pareggio tra tesi contrapposte vale come doppio.

Sembrerebbe dunque aver vinto la tesi del carattere eccessivamente manipolatorio ( aggettivo tecnico, e derivante da precedenti sen- tenze in materia della Corte) del quesito referendario che si proponeva il fine di ' allargare' le garanzie del vecchio Statuto dei lavoratori alle aziende con solo 5 dipendenti, usando quel 5 che pure nella legge jobs act era scritto, anche se solo a proposito di aziende agricole. E sembrerebbe nei fatti superata la querelle sulla omogeneità delle questioni, tre in un solo testo formale, che tanto era stato analizzato nelle pubbliche polemiche sul referendum della Cgil, poiché alla fine si è scelto di varare due domande su tre.

Si vedrà quando ci sarà il testo della sentenza, sulla quale come si diceva i giudici dovranno discutere ancora. Ma intanto un dato certo è che la Corte, dal punto di vista della giurisprudenza costituzionale, ha contraddetto la sentenza Zagrebelsky del 2003. Ammettere il referendum avrebbe prodotto una sentenza espansiva della precedente. Ha vinto invece la giurisprudenza sui referendum risalente al 1997, molto più restrittiva, e che politicamente servì ad evitare che vi fosse una nuova ondata referendaria pannelliana dopo quella, famosa, del 1995. La Cgil ha annunciato che farà ricorso alla Corte Europea.