È dal 1988 che Martin Scorsese voleva girare Silence, ma il regista premio Oscar ha dovuto aspettare ben ventinove anni per poterlo realizzare. Presentato negli Stati Uniti lo scorso 23 dicembre e nelle sale italiane dal 12 gennaio Silence si basa sul romanzo del 1966 di Shusaku Endo da cui prende il titolo, libro arrivato nelle mani di Scorsese grazie all’arcivescovo Paul Moore incontrato proprio in quel lontano 1988 a New York in occasione della proiezione speciale di L’ultima tentazione di Cristo tenutasi per dei leader religiosi.

Sul bestseller e capolavoro di Endo, Scorsese ha dichiarato: «Il tema che Endo analizzava nel suo libro era presente nella mia vita da sempre, fin da quando ero molto, molto giovane. Sono cresciuto in una famiglia profondamente cattolica ed ero molto coinvolto nella pratica religiosa. I miei principi e le mie idee sono ancora basati sulla spiritualità del cattolicesimo in cui ero immerso da bambino, una spiritualità che ha a che fare con la fede».

Pochi sanno che Martin Scorsese voleva farsi prete ed ha studiato per diventare tale. Lo ha ricordato spesso nelle interviste, anche recentemente al New York Times e i più attenti al suo cinema sapranno rilevare un sottotesto religioso in ogni sua opera. In alcuni film è più evidente, in altri meno, ma la lotta continua tra bene e male, peccato e moralità, violenza e spiritualità è sempre presente nelle sue opere e sembra condensarsi pienamente in Silence. Per un uomo cresciuto in una Little Italy dove le scelte obbligate erano la malavita o la carriera ecclesiastica, risulta evidente come sia stato fondamentale per Scorsese, utilizzare proprio gli elementi che ha vissuto in prima persona per affrontare più grandi temi. Così, come in un lungo processo di crescita, da film estremamente autobiografici come Mean Streets Domenica in chiesa, lunedì all’inferno in cui si raccontava di un gangster in conflitto tra vita religiosa e malavitosa, Scorsese si è spesso apparentemente allontanato dalle crisi di coscienza ma le ha invece affrontate in maniera estrema, attraverso la pazzia da rifiuto e abbandono in Taxi Driver o il declino della fama e del successo in Toro Scatenato.

Come forse a voler concludere un cammino, Scorsese ha voluto ricevere una sorta di approvazione “divina” prima di far uscire il film e il 1 dicembre 2016 è giunto in Vaticano per mostrarlo a Papa Francesco ed a una comunità di maggioranza gesuita.

Ambientato nel XVII secolo, Silence racconta infatti di due missionari della Chiesa Cattolica Romana, i padri gesuiti Sebastian Rodrigues ( Andrew Garfield) e Francisco Garupe ( Adam Driver) nel loro arduo e pericoloso viaggio in Giappone, intrapreso per ritrovare il loro maestro e mentore, padre Cristóvão Ferreira ( Liam Neeson) ed al contempo diffondere il cristianesimo.

A quel tempo, il Giappone era profondamente anti- cattolico e anti- cristiano. I signori feudali e i Samurai erano decisi a sradicare il cristianesimo dal paese e quindi tutti coloro che si professavano cristiani erano arrestati e torturati, costretti a rinnegare la loro fede o ad essere condannati a morte.

Fede e spiritualismo. Come queste due componenti non fisiche possono mettere in conflitto l’uo- mo tra sé e sé e con gli altri. Martin Scorsese, regista e sceneggiatore di Silence, riflette su un silenzio più grande e inspiegabile, quello di Dio di fronte alle brutalità umane. Un silenzio che non scalfisce e non mette in dubbio l’esistenza di Dio, ma non trova risposta se non nella quiete privata e personalissima. Come lui stesso ha scritto: « Silence è la storia di un uomo che impara - molto dolorosamente - che l’amore di Dio è più misterioso di quanto lui pensi, che Lui lascia più spazio agli uomini di quanto crediamo e che è sempre presente... anche nel Suo silenzio». Martin Scorsese porta il romanzo giapponese nei paesaggi di Taiwan, e confonde tra i colori morti e la forza scenica della natura una crisi profonda che non risale esclusivamente al 1600. Scappare dalla persecuzione e continuare nel proprio credo o rinnegarlo e andare avanti? In questa situazione estrema, Scorsese affida al carisma di Liam Neeson il ruolo più importante e metaforico, quello di un prete costretto a sacrificare il suo credo per un fine più grande.

A chiusura del cerchio ed a porre la parola fine all’analisi che negli anni Scorsese ha portato avanti per la sua crescita personale e spirituale oltre che artistica, il continuo binomio tra spiritualità e peccato è visibile nell’alternarsi o fondersi del simbolismo e le grandi metafore sulla fede con una violenza nel film che non è mai celata, anzi estrema e viscerale.

Silence con i suoi silenzi sospesi e le parole urlate insieme alle lacrime dei personaggi, non offre consigli, non giudica, non persuade a una verità. Lascia il silenzio della riflessione, per un tema complesso e per un cinema a cui non siamo più abituati.