L’ultimo Consiglio dei ministri del 2016 non ha portato alle toghe i tanto attesi correttivi al decreto legge 168. In particolare, nessun aumento dell’età pensionabile a 72 anni. L’Associazione nazionale magistrati ha accusato il Governo di non aver mantenuto gli impegni. Ad oggi, dopo le iniziali minacce di sciopero, in particolare da parte di Autonomia & Indipendenza, la corrente del presidente Piercamillo Davigo, nessuna iniziativa è stata però decisa. La riunione della Giunta esecutiva tenutasi a Roma la scorsa domenica si è conclusa con un nulla di fatto. Ogni eventuale decisione sarà presa nel Comitato direttivo centrale del prossimo14 gennaio.

Con Andrea Reale, gip al Tribunale di Ragusa ed ex componente proprio del Comitato direttivo centrale dell’Anm, eletto in una lista sganciata da qualsiasi “corrente”, abbiamo voluto commentare l’attuale momento della magistratura associata.

Dottor Reale, l’Anm protesta per aver visto disattesi, almeno finora, gli impegni assunti in autunno dall’allora premier Matteo Renzi, che aveva aperto alla possibilità di portare a 72 anni l’età massima di trattenimento in servizio. L’ex capo del governo aveva mostrato di condividere la tesi del presidente Davigo: il reinnalzamento della soglia andrebbe attuato e mantenuto almeno fino che non sarà recuperata la “spaventosa scopertura d’organico” negli uffici giudiziari. Scivolata via l’occasione del milleproroghe, parte di quel piano è già saltata: crede che tra Anm e governo si arriverà alla rottura totale?

Le proteste sono solo di facciata. Aver abbassato di colpo da 75 a 70 anni l’età pensionabile è stato il più grande regalo che il governo potesse fare alle correnti della magistratura. Ha reso, infatti, improvvisamente vacanti oltre 500 posti fra direttivi e semidirettivi. Vacanze organiche che, tutte insieme, non ci sono mai state e che le correnti in questi mesi stanno gestendo con logiche ‘ spartitorie’.

Davvero? Al Consiglio superiore della magistratura potranno obiettare che le logiche “spartitorie” appartengono al passato. L’Organo di autogoverno ha approvato un regolamento sulla dirigenza che, nel-

le intenzioni, dovrebbe premiare il merito. Non crede?

Non è affatto vero. Il nuovo regolamento sulla dirigenza aumenta ancora di più il potere discrezionale del Csm, e quindi delle correnti, non favorendo, ad esempio, i magistrati impegnati nella giurisdizione.

A cosa si riferisce?

Osservo che si stanno privilegiando i colleghi che hanno svolto esperienze fuori ruolo rispetto a chi ha sempre indossato la toga. Con l’errata convinzione che il capo dell’ufficio debba essere un manager e non un serio conoscitore del diritto ‘ vivente’.

Il tema dei fuori ruolo, ovvero i magistrati che svolgono altri incarichi, è un tasto dolente: che soluzioni propone?

C’è bisogno di un periodo di decantazione. Non è possibile che un collega, dopo essere stato fuori ruolo anni magari per ricoprire un incarico politico come capo di gabinetto o assessore in qualche giunta, decida, senza soluzione di continuità, di rimettere la toga per concorrere a qualche posto direttivo. Un congruo periodo di stand by è doveroso.

Quindi, prima un ritorno in servizio e poi, dopo qualche tempo, ci si può proporre per un incarico direttivo?

Certo. Altrimenti l’immagine della magistratura nei confronti del cittadino esce danneggiata. La gente fa confusione e si genera il sospetto che ci sia una commistione di ruoli a danno dell’imparzialità e terzietà della funzione giudiziaria.

Nella riforma della giustizia all’esame del Parlamento si prevede l’avocazione del fascicolo da parte della Procura generale, trascorsi tre mesi dalla chiusura delle indagini preliminari senza che il pm abbia esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione. E’ una norma da bocciare?

Questo è un provvedimento spot che non risolve i problemi. In Italia c’è una ipertrofia penale: ogni sostituto ha troppi fascicoli da gestire. Teniamo presente che esiste, poi, l’obbligatorietà dell’azione penale. Quindi, il primo provvedimento da prendere è quello di ripianare gli organici. Se il desiderio politico è quello di dimezzare i tempi della giustizia requirente, la mossa efficiente sarebbe, piuttosto, quella di raddoppiare l’organico dei magistrati, non quello di rendere più lacunose le investigazioni o impossibili i tempi di accertamento di una eventuale responsabilità penale.

Cosa pensa della presenza degli avvocati nei consigli giudiziari? E quindi della possibilità che incidano sulle valutazioni di professionalità dei magistrati?

Non credo sia un provvedimento che aiuti. Soprattutto nelle realtà minori c’è il rischio di condizionamenti indebiti. In particolare verso i colleghi effettivamente indipendenti. Esistono altre forme per evidenziare se un magistrato non svolge correttamente il suo lavoro. Ad esempio con delle segnalazioni mirate.

Un’ultima domanda. La scorsa settimana c’è stato un dibattito su questo giornale fra il nostro direttore e il consigliere Piergiorgio Morosini a proposito della strumentalizzazione politica dell’avviso di garanzia. Che idea si è fatto?

Normalmente è la politica che strumentalizza gli avvisi di garanzia. Io vorrei ricordare, invece, che lo snodo è sempre la sentenza e non lo status di indagato. Il sistema non ha, però, funzionato con riferimento alla funzione dell’udienza preliminare. Nelle intenzione dei padri del nuovo codice di procedura penale doveva essere un argine contro la celebrazione di dibattimenti inutili. Cosi non è stato. La funzione di filtro dell’udienza preliminare è venuta meno. Con tutto ciò che ne consegue in fatto di tempi dal momento dell’iscrizione nel registro degli indagati alla sentenza.