Non c’è niente di più sbagliato che provare a leggere le mosse di Beppe Grillo inforcando gli occhiali delle tradizionali categorie politiche. Vale per qualunque scelta, compresa l’ultima ( in ordine temporale) piroetta compiuta in ambito europeo con l’addio all’Ukip di Nigel Farage e il tentato abbraccio col liberale Guy Verhofstadt, il quale ieri sera ha chiuso le porte all’ex comico. Grillo non è un uomo politico: è un uomo di spettacolo. E non attore di scena bensì mattatore assoluto. Il proscenio prediletto non è il backstage: piuttosto il palco del comizio dove recitare il canovaccio di protagonista unico. Uno così tende ad occupare tutti gli spazi possibili e questa è la prima, importante spiegazione del ritrovato protagonismo dentro e fuori i confini nazionali: più Matteo Renzi si inabissa, più Grillo s’allarga. E’ lui che detta l’agenda, si sarebbe detto una volta: e tutti gli altri ad inseguire. Un segno inequivoco di subalternità che non saranno nè i minuetti tra Berlusconi e Stefano Parisi nè gli sgambetti sotterranei tra gli ultrà renziani e quelli di Gentiloni- Franceschini ad oscurare.

Parimenti erroneo è interpretare le strambate dell’ex comico secondo i criteri di coerenza sull’asse destra- sinistra. A Grillo e Casaleggio jr interessa esclusivamente la salvaguardia, la tutela, lo sviluppo del MoVimento: il resto è farina del diavolo, schiuma patologica del sistema. Per assicurare il risultato sono disposti a qualunque giravolta, e guai a tirar fuori il moralismo o il rispetto delle posizioni precedenti. Vale per l’Italicum, prima oppio dei popoli e poi meccanismo da adottare ovunque e dovunque. Vale per gli avvisi di garanzia, ieri marchio di infamia e oggi, se riguardano esponenti Cinquestelle, semplici addebiti sui quali esprimersi secondo criteri scelti da Garante, cioè da Grillo ( e Casaleggio) stesso. Vale anche per l’Europa.

Se intrupparsi con gli euroscettici non aiuta a far emergere la forza d’urto dei Pentastellati a Strasburgo e anzi funziona da zavorra ( anche economica), nessun problema: si cambia appartenenza. Ma guai a pensare che Grillo è diventato oggi liberale come aveva indossato gli abiti del garantismo ieri: la disinvoltura non ha nulla di ideologico, è solo strumentale al raggiungimento dell’obiettivo. Ricorda il Bossi d’antan che mandava Roberto Maroni a fare gli accordi con Mariotto Segni e poi lo silurava facendogli il gesto dell’ombrello davanti ai giornalisti. Che l’ex comico abbia scoperto la necessità di far politica appartiene ad una logica consolatoria: l’unica politica che Grillo contempla è quella che serve ad ingrossare lo spessore e l’importanza della sua creatura. Sotto questo profilo, per quel che concerne il gruppo liberaldemocratico europeo, il pericolo non è Verhofstadt per Grillo ma casomai il contrario. L’ex capo dei Democratici e Liberali fiamminghi nonché ex premier belga potrebbe ripassare la lezione di Lenin: «Finirà che i capitalisti ci venderanno anche la corda con cui impiccarli». Del resto parlano i numeri: se l’Alde li accoglirerà, i grillini diventeranno la componente numero uno del gruppo. Lo marchieranno, per intenderci.

Terzo elemento. E’ assodato che Grillo voglia costruirsi un profilo di governo: l’ha detto fin dal primo momento, per chi avesse avuto voglia di ascoltarlo. I tanti che che gli assegnano solo un ruolo “sfascista”, da eterno oppositore, o derubricano i suoi salti di qua o di là come furbata per far dimenticare i problemi della Raggi a Roma, continuano ad autoingannarsi, sempre aggiustandosi sul naso gli occhiali di prima. Però attenzione: Grillo vuole di sicuro governare ma usando solo ed unicamente i suoi strumenti. Chi lo immagina piegato alle logiche di coalizione o alla necessità di fare alleanze, prende un abbaglio. Può essere che strumentalmente i grillini si appaino a questo o quello schieramento, come ad esempio avvenuto per il No al referendum costituzionale. Ma ciò non ha nulla a che vedere con possibili intese strutturali con altre forze politiche. Grillo e Casaleggio puntano all’all in su palazzo Chigi senza tuttavia voler spartire il bottino con nessuno.

Ultimo elemento, conseguenziale a tutto il resto. E’ stupefacente che sia passato nel disinteresse dei più la postilla - come rivelato dal Dubbio - inserita nel Nuovo Codice Etico che consente a Grillo di candidarsi alle elezioni. Una svolta enorme, che però non è stata compresa nella sua rilevanza dagli altri partiti. E’ il segno dell’impronta sempre più personalistica che viene impressa sul MoVimento. E perciò fanno tenerezza i parlamentari o gli altri “portavoce” che si lamentano di essere stati tenuti all’oscuro della decisione europea di Beppe: perché mai avrebbero dovuto essere messi al corrente? Molto più intonato risulta il popolo web assiepato nel recinto degli algoritmi di Casaleggio: loro votano sì a tutto quel che propone Grillo e gli sta bene così. Del resto non è stato proprio l’ex comico a dire: votate con la pancia e non con il cervello? Se valeva per la massa di elettori referendari, a maggior ragione può e deve valere per le falangi grilline della Rete.

Dopo gli anatemi e gli sberleffi della prima ora, adesso comincia a spirare un refolo di resipiscenza nei partiti tradizionali e c’è chi, come il forzista Francesco Giro o il bersaniano Roberto Speranza, plaude alla rottura dei Cinquestelle con gli antieuropeisti «e i razzisti di Farage». Forse a consigliare prudenza basterebbe ricordare le - peraltro recentissime - intemerate di Grillo sugli immigrati. Comunque sia, è certo che il movimentismo pentastellato miete vittime. Prime fra tutte i lepenisti nostrani, da Salvini alla Meloni. La virata nella Ue riconsegna Lega e Fdi nelle braccia di Berlusconi: l’alternativa è l’isolamento, là in fondo a destra.