«Siamo scalzi e senza scorta» ha annunciato alla vigilia di Natale presentando la sua giunta dopo i nuovi innesti, arrivati a due anni dall’elezione a sindaco di Reggio Calabra. Giuseppe Falcomatà, renziano della prima ora, ha voluto pungolare i suoi a produrre il massimo sforzo per risollevare le sorti di una città provata da tre anni di commissariamento.

E lo ha fatto citando suo padre, il professore Italo Falcomatà, il sindaco della “Primavera di Reggio”, morto nel 2001, pochi mesi dopo la vittoria alle elezioni che gli aveva consegnato il terzo mandato da primo cittadino. Un esempio per Giuseppe, ma anche un’ombra e un fardello fatto di confronti continui e di voci nei corridoi secondo le quali senza quel cognome Giuseppe non avrebbe fatto il percorso politico che lo ha portato fin qui. Eppure Falcomatà è riuscito ad imporre le primarie al partito per la scelta del candidato sindaco e la ha vinte dopo un confronto serrato con un altro figlio d’arte, il consigliere regionale Domenico Battaglia, figlio di Piero, sindaco durante quelli che la storia ha archiviato come i Moti di Reggio Calabria degli anni ’ 70.

E dentro il partito è riuscito subito a mettersi in mostra e a divenire un punto di riferimento al Sud, soprattutto grazie ad un asse di ferro con Graziano Delrio. Del resto Falcomatà aveva tutte le carte in regola per piacere a Renzi. Giovane, bello, attento al look e in grado di parlare direttamente con la gente. Ed anche con quella punta di presunzione che gli consente di tenere in pugno i suoi uomini e assumere, all’occorrenza, un tratto decisionista.

Non stupisce, dunque, che adesso sia tra i nomi nuovi che il premier vorrebbe nella segreteria nazionale del partito per dare un segnale preciso di riorganizzazione e ripartenza, con un’attenzione particolare da rivolgere al Sud.

Che momento sta vivendo il Pd dopo la sconfitta al referendum? Condivide la strada indicata dall’ex premier per ripartire?

Abbiamo condiviso la linea del segretario insieme ad gruppo di sindaci del Pd con il quale facciamo squadra da tempo e non solo per scambiarci le buone pratiche amministrative, ma anche per mettere in campo idee per il partito. La lettura che ci siamo permessi di offrire al segretario è stata quella di non affrontare ora un congresso, anche perché non abbiamo ravvisato nessuna delegittimazione per Renzi in quanto segretario del partito. La sconfitta al referendum ha causato le dimissioni da premier come aveva annunciato, ma i problemi della leadership del partito vanno affrontate nelle sedi del partito. Impelagarsi in un congresso adesso, con Grillo e Salvini già in corsa da tempo, vorrebbe dire compromettere la campagna elettorale. Ora dobbiamo concentrarci sull’avvio delle elezioni preoccuparci di tornare sul territorio. Per il congresso si può aspettare l’autunno.

Al Sud c’è stato il risultato peggiore. E non hanno fatto eccezione né la Calabria, né la sua Reggio. Cosa è successo?

Purtroppo storicamente il Sud risponde diversamente rispetto alle Regioni del Nord alle competizioni elettorali. Se guardiamo alle ultime elezioni europee, tuttavia, si conferma lo stesso trend. Probabilmente c’è una percezione distorta delle politiche di indirizzo nazionale. Lo ha detto anche Renzi in assemblea: al Sud sono arrivati tanti finanziamenti e avviate molte opere, tante perle che non sono state tenute insieme dal filo del tessuto socio economico del Meridione.

E’ stata anche una bocciatura delle attuali amministrazioni, compresa la sua?

Difficile da leggere il dato in questo senso. In Calabria e a Reggio i rappresentanti istituzionali erano schierati pancia a terra per il sì. Credo che il no sia stato visto come un voto rivoluzionario tra le fasce più giovanili, mentre le fasce più adulte hanno scelto la stabilità. In ogni caso è un dato che non va sottovalutato, anche nel caso in cui ci dovesse essere stata anche una sola persona ad esprimere disagio verso le amministrazioni.

Come si riprende il rapporto con il Meridione del Paese?

Intanto saluto positivamente la nascita di un Ministero per il Mezzogiorno, sicuramente un segnale di attenzione. Il nuovo ministro Claudio De Vincenti verrà in Calabria per attualizzare e rendere operativi i finanziamenti per i Patti per il Sud, in linea con quanto fatto in precedenza da Renzi. Bisogna continuare a tenere la questione meridionale nell’agenda setting del governo dove è stata introdotta da Renzi nel 2014, convinti che il Paese riparte se riparte il Sud e che non è concepibile un’Italia a due velocità. Probabilmente va migliorata anche la comunicazione alla cittadinanza di quanto viene realizzato.

A questo punto che tipo di legge elettorale dovrebbe venir fuori dal confronto in Parlamento e quando immagina sia più utile tornare alla urne?

Il Mattarellum potrebbe essere quella più adatta per andare a votare il prima possibile. Credo che giugno possa ritenersi l’orizzonte massimo.

Altro tema di fondo è il rapporto con la minoranza del partito. Esiste un rischio scissione?

Non credo ci sia un rischio di scissione. La minoranza del partito ha tutti gli spazi e l’agibilità democratica per esprimere il proprio dissenso. Vero è che in un partito detta la linea la detta chi ha vinto il congresso e, pertanto, non ho condiviso l’annuncio della minoranza che ha spiegato come valuterà provvedimento per provvedimento l’azione del governo.

Ha sentito il nuovo premier Gentiloni? Reggio vedrà confermati tutti gli accordi in precedenza sottoscritti?

Sì, l’ho visto e sentito, anche in occasione dell’apertura dell’ultima tratto dell’autostrada Salerno- Reggio Calabria. E’ stato molto amichevole nell’approccio e mi ha tranquillizzato sulla continuità dell’azione di governo anche tramite De Vincenti.

Insieme al sindaco di Ercolano è stato inserito tra i papabili ad entrare nella nuova segreteria nazionale del Pd. Conferma di aver ricevuto la proposta?

Lo apprendo dai giornali, ma non è una dichiarazione di stile. Davvero ad oggi non saprei fornire nessun elemento in più. L’identikit fornito da Renzi, però, è chiaro: con la nuova segreteria vuole cambiare linea nel Mezzogiorno, porre fine al notabilato e dare spazio ai sindaci. Posso comunque dire che, naturalmente, qualora dovesse arrivare la proposta sarei pronto ad abbracciare la sfida.

L’idea di coinvolgere nella gestione del partito gli amministratori locali, a partire dai sindaci, può essere un modo per ricostruire il rapporto del partito con i territori?

Credo possa essere un ulteriore risvolto di questo prisma che vede nei sindaci italiani i principali riferimenti per i cittadini essendo ben riconoscibili a differenza di altri livelli di amministrazione locale. Attraverso i sindaci si può arricchire di idee il dibattito nazionale e quello del partito e questa squadra potrebbe essere l’arma vincente per affrontare i prossimi mesi di campagna elettorale.