IL COMMENTO

C‘è un interrogativo che da qualche anno aleggia sulla politica italiana e ne condiziona in modo determinante i comportamenti: ma perché i Cinquestelle non crollano? E’ un interrogativo che si ripropone ad ogni tornata elettorale e non trova risposta anche perché i grillini, invece appunto di deperire, ingrassano. E se per ventura perdono qualcosa a causa dell’imperizia quando espugnano la cittadella del potere, come accade a Roma, è una flessione che si capisce subito non sarà l’avvio della slavina della debàcle. Casomai un arretramento come chi prende la rincorsa per superare ancor più e meglio l’ostacolo.

Di conseguenza, i partiti tradizionali, chi più chi meno, non riuscendo a trovare una risposta all’interrogativo di cui sopra, mettono in campo risposte che sono di arroccamento e di difesa del loro orticello. Ma proprio per questo subalterne, culturalmente prima ancora che politicamente, e per forza di cose perdenti. Così il fenomeno grillino, invece di esaurirsi, riceve nuova linfa. E’ accaduto con l’Italicum, fortissimamente voluto da Matteo Renzi nella convinzione di rilanciare un bipolarismo in cui lui avrebbe svolto la funzione di idrovora di voti moderati garantendosi la vittoria sicura nel duello con i pentastellati. Quando poi le cose si sono rovesciate e si è capito che nel ballottaggio la premiata ditta Grillo& co avrebbe prevalso, allora tutti a rigettare l’Italicum, a partire dal suo inventore, e invocare un meccanismo diverso. Idem per la campagna elettorale sul referendum costituzionale. Quando si è capito che il vento si era fatto sfavorevole, è partita un’affannosa rincorsa di palazzo Chigi volta a impossessarsi delle parole d’ordine del MoVimento taglio delle poltrone, dei costi della politica, dei “soliti noti” che però ha prodotto l’effetto opposto: più voti al No, sconfitta senza se e senza ma per il Sì.

Detto questo, il problema non muta e l’interrogativo resta sempre lì, appeso: come mai i grillini non tracollano? Eppure le condizioni ci sarebbero eccome. Non esiste una delle giunte conquistate in cui i Cinquestelle non abbiano inanellato gaffes, accuse di incompetenza, divaricazioni politiche devastanti come a Parma con Federico Pizzarotti e perfino arresti di strettissimi collaboratori del sindaco, vedi quanto accaduto nella Capitale con Raffaele Marra. Senza dimenticare gli scontri interni, la battaglia sotterranea ( vera o presunta) per la leadership tra Di Maio, Di Battista e Fico; gli scambi di accuse tra staff e parlamentari, le polemiche sollevate dalle incursioni di Casaleggio junior. Si potrebbe andare avanti a lungo - per esempio ricordando che il Parlamento doveva fare la fine delle scatolette di tonno e invece in tre anni e passa di legislatura i grillini non hanno portato a compimento neanche una briciola delle tantissime promesse elettorali - ma il senso è chiaro: a parte qualche fisiologico arretramento, il segno più sta lì ben piazzato davanti alle percentuali elettorali dei grillini, e almeno un italiano su quattro continua considerarli la migliore se non l’unica opzione praticabile.

Proviamo allora ad azzardare una possibile spiegazione. Come già evidenziato su queste colonne, in tutto l’Occidente è in atto un sommovimento politico che cambia i connotati della rappresentanza facendo emergere figure e movimenti del tutto eccentrici rispetto a quelli tradizionali. Un fenomeno che trova le sue radici nell’abbraccio tra le due categorie sociali che più di tutte hanno pagato e ancora pagano sulla propria pelle gli effetti perniciosi della più grave e più lunga crisi economica del dopoguerra: la classe media sempre più impoverita, e i giovani privati della prospettiva di miglioramento futuro.

In Usa, in Europa e in tutto il mondo industrializzato la classe media che era stata la linfa e l’ossatura del sistema politico- istituzionale, ha perso identità e punti di riferimento. E’ pervasa dalla paura di vedersi strappato anche quel po’ di benessere che è riuscito a salvaguardare ed è alla ricerca non solo di un antidoto ma anche e soprattutto di un capro espiatorio su cui riversare la sua rabbia. E lo trova nella politica tout court. La stessa rabbia che scuote le coscienza delle giovani generazioni che si sentono private delle cosa più importante: la possibilità di garantirsi un futuro, e si sentono condannate ad una esistenza giocata tra precarietà e incertezza. Anche loro hanno bisogno di un capro espiatorio e di un idolo da rovesciare: anche loro hanno nel mirino la politica e i partiti che l’hanno incarnata.

Queste due categorie si mischiano e si contaminano nelle urne elettorali e la miscela che ne scaturisce è tale da far esplodere gli equilibri preesistenti. Vale per Donald Trump che finisce alla Casa Bianca; vale per le spinte antisistema che squassano gli Stati europei; vale per i Cinquestelle che in Italia quel tipo di rabbia drenano, accolgono e rilanciano. Il punto è proprio questo. Finchè quella rabbia continuerà a esistere, i grillini vivranno e prolifereranno. Anche al punto di arrivare al governo. Ma pur se dovessero declinare per implosione interna, ci sarà un altro soggetto politico che prenderà il loro posto e darà voce a quel sentimento di ribellione.

Se le cose stanno così, la risposta all’interrogativo iniziale è semplice: i Cinquestelle non arretrano anzi crescono perché allo stato sono gli unici interpreti politici riconosciuti e accettati di quella rabbia. I soli che quelle due categorie considerano i loro rappresentati autorizzati e degni di fiducia. I partiti tradizionali, se vogliono sopravvivere, devono non scimmiottare quegli interpreti bensì accettare la sfida che le due categorie sociali in sofferenza lanciano. Molto facile a dirsi. Difficilissimo a farsi.