Ultimatum alla sindaca da parte dei notabili del Movimento, riuniti ieri fino a tarda notte in un hotel romano: via il "raggio magico", e quindi il vicesindaco Frongia e il fedele Romeo. Altrimenti, è già pronto il post sul blog che di fatto mette Virginia Raggi fuori dal Movimento. Per ora prevale la linea attendista, ma il movimento è spaccato e sono ore di tensione.

Del resto, le motivazioni che hanno giustificato l'esigenza della misura cautelare nei confronti di Raffaele Marrra sono tutt'altro che rassicuranti, rispetto al ruolo di Raggi: «Esiste un un concreto e attuale pericolo di reitarazione di condotte delittuose analoghe a quelle già accertate e ciò ancor più in considerazione del ruolo attualmente svolto dal Marra all’interno del Comune di Roma, della indubbia fiducia di cui egli gode da parte del sindaco Virginia Raggi». Questo scrive il gip Maria Paola Tomaselli, nel disporre l’arresto di Raffaele Marra, accusato di corruzione. Secondo gli inquirenti, l’ex vice capo di gabinetto di Raggi avrebbe intascato una tangente di 367 mila euro da Sergio Scarpellini, noto immobiliarista romano finito in carcere insieme al dirigente comunale, per l’acquisto di un appartamento Enasarco. I fatti risalgono al 2013, quando Marra viene nominato direttore del Dipartimento partecipazioni e controllo di Roma Capitale e l’imprenditore fornisce due assegni circolari da 250 mila e 117 mila euro a Chiara Perico, moglie dell’ex collaboratore della sindaca 5 stelle. Solo un mese prima, Marra controllava la Direzione Personale, Demanio e Patrimonio della Regione Lazio. Incarichi che per i pm ingolosiscono il gruppo Scarpellini che ha «da tempo stipulato alcune importanti convenzioni urbanistiche che richiedono l’emanazione di provvedimenti amministrativi da parte sia del Comune di Roma che della Regione Lazio». Ma il rapporto tra i due uomini, secondo gli inquirenti, ha radici più antiche. Risale al 2009, infatti, un’altra operazione immobiliare sospetta, quando Scarpellini vende «a Marra l’appartamento a Roma in via Giorgio Vigolo, angolo via Alberto Moravia, applicando in suo favore il considerevole sconto di mezzo milione di euro». Su questo secondo episodio incombe però la prescrizione e la Procura non procederà.

Inchiesta della magistratura a parte, la portata della vicenda è soprattutto politica. Perché Raffaele Marra non è un semplice dirigente comunale. Fino a ieri è stato il più stretto collaboratore della sindaca di Roma, il più ascoltato, l’unico inamovibile ( a costo di scontrarsi con Beppe Grillo in persona), il più potente. È lui che sgomita per silurare Carla Raineri e Marcello Minenna, considerati competitor troppo equipaggiati nella battaglia per il controllo delle caselle chiave della pubblica amministrazione. Ed è sempre lui a concepire il parere da inviare all’Anac - di cui finirà vittima a sua volta - per sbarazzarsi del capo di Gabinetto. Un atteggiamento che Raggi ha sempre tollerato e difeso.

Almeno fino a ieri, quando la prima cittadina ha preso le distanze dal capo del Personale: «Mi dispiace per i romani, per il Movimento e per Beppe Grillo, che aveva avanzato perplessità», ha detto in una conferenza stampa in cui non sono ammesse domande. «Ci siamo fidati e probabilmente abbiamo sbagliato, ma Marra non è un esponente politico, è uno del 23 mila dipendenti del Comune di Roma. Il dottor Marra non è il mio braccio destro, il mio braccio destro sono i cittadini romani». Di conseguenza: «Noi andiamo avanti con serenità».

Ma il clima all’interno del Movimento 5 stelle è tutt’altro che sereno. Grillo, a Roma da qualche giorno, telefona a Raggi furioso: «Ora rimedia! », dice. I parlamentari si sfogano solo in conversazioni informali, riportando la rabbia che circola sulle chat interne. Gran parte degli eletti vorrebbe le dimissioni immediate della sindaca e un passo indietro dei referenti nazionali che hanno mal consigliato Beppe: Luigi Di Maio è l’indiziato numero uno. Non ci sarà però nessuna assemblea il discutere il caso, solo riunioni ristrette tra “big”. E chi ha sempre contrastato la presenza di Marra ora si prende la rivincita. Come Paola Taverna ( «le scuse non bastato», dice) e Roberta Lombardi che, secondo Espresso, a novembre si presentò in Procura per depositare un esposto contro il dirigente comunale. «Sono molto fiera di stare dalla parte giusta», dice di sfuggita ai cronisti. Di Di Battista e Di Maio non c’è traccia.