Secondo parte della magistratura associata ricorrevano tutti i presupposti per un attacco alla giurisdizione e in particolare all’autonomia delle toghe. Con un grado di allarme massimo infatti, la corrente dell’Anm che fa capo al presidente Piercamillo Davigo aveva deplorato l’iniziativa della Camera penale di Roma. Che ieri ha tenuto fede agli annunci e ha attuato una giornata di astensione dalle udienze per denunciare le “ gravi disfunzioni degli uffici di sorveglianza, dopo due anni di inutili tentativi di interlocuzione con i magistrati”.

Solo che sulla protesta per le “ decisioni condizionate da una visione carcerocentrica” e per l’impossibilità addirittura fisica di interloquire con i giudici di sorveglianza di Roma, l’avvocatura penale ha trovato riscontri tutt’altro che censori negli interventi di due autorevoli voci esterne: il capo del Dap Santi Consollo e la presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze Antonietta Fiorillo.

Così quella che doveva essere una pericolosa insubordinazione si è trasformata in una giornata di confronto tra avvocati, magistrati e ministero della Giustizia: il dibattito si è svolto a piazzale Clodio, nell’aula della settima sezione, dove la Camera penale ha organizzato una discussione molto partecipata. Si è partiti dalla “ estrema difficoltà di accesso alle cancellerie e di interlocuzione con i giudici”, denunciata da diversi avvocati. Difficoltà che sono “ origine di compressioni dei diritti dei condannati sia nella fase delle udienze, sia nella fase istruttoria. Ed è chiaro che nessun problema organizzativo degli uffici giudiziari può riflettersi sulla qualità ed efficacia della difesa”.

Nella tavola rotonda si sono avvicendati dunque rappresentanti non solo del’avvocatura: oltre al presidente del Tribunale di Roma Francesco Monastero, hanno preso la parola il segretario dell’Unione delle Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, il garante dei detenuti della Regione Lazio Stefano Anastasia, il conduttore della trasmissione di Radio Radicale “ Radio Carcere”, Riccardo Arena, il segretario della Camera Penale di Roma Cesare Gai. Con Alessandro De Federicis, avvocato del foro di Roma, a fare da moderatore e il contributo, appunto, del capo del Dap Consolo e della dottoressa Fiorillo. Nella sua introduzione il presidente della Camera penale di Roma Cesare Placanica ha segnalato dati meritevoli di riflessione: contro i provvedimenti della magistratura di sorveglianza romana, nel solo 2016, si contano 392 ricorsi per Cassazione; nella Capitale inoltre il dato statistico dell’ammissione alle misure alternative raggiunge solo il 10%, a fronte di una media nazionale del 25%. Secondo il garante Stefano Anastasia, tra le lamentele ricorrenti da parte dei detenuti ci sono la “ mancanza di funzione ispettiva da parte del magistrato di sorveglianza” e la “ confusione quotidiana tra le misure umanitarie e quelle premiali”. Consolo appunto non ha disconosciuto le ragioni del malessere di avvocati e detenuti: a proposito del prevalere di un’idea ancora carcerocentrica dell’esecuzione penale, ha ricordato che “ negli ultimi mesi la popolazione detenuta è passata da 52.000 circa a 55.170 unità”. E ha sottolineato la necessità che “ ciascuno degli operatori faccia la propria parte con una stella polare: una stringente etica della responsabilità”. Solo così si può far fronte alle “ carenze che riguardano tutte le categorie coinvolte nel trattamento dei detenuti”. Che pare un richiamo rivolto anche all’avvocatura, certo, ma che non tiene affatto fuori la magistratura di sorveglianza. “ Il ruolo e la funzione dell’avvocato nel procedimento di sorveglianza è essenziale”, ha ribadito il capo dell’Amministrazione penitenziaria.

Secondo la presidente Antonietta Fiorillo, “ sono mancati interventi di clemenza che sarebbero stati necessari. D’altra parte”, ha aggiunto, “ la magistratura di sorveglianza rappresenta l’ultimo anello su cui si tende a scaricare la responsabilità per i difetti del sistema della pena: senza un aumento delle risorse e degli investimenti, ogni idea di riforma strutturale rischia di rimanere sulla carta”.

Alla giornata è mancato solo un tassello perché l’avvocatura penale potesse dirsi completamente soddisfatta: la presenza dei magistrati di sorveglianza della Capitale, che avevano declinato l’invito con una lettera inviata la scorsa settimana, in cui avevano definito le ragioni della protesta “ di non agevole comprensione”. Ma lo stesso segretario dell’Unione Camere penali italiane Francesco Petrelli ha colto nel dibattito di piazzale Clodio un’altra prova di un modello processuale accusatorio in crisi, “ in cui prevale in realtà ancora l’eco del precedente sistema inquisitorio”. Gli avvocati Cesare Placanica e Vincenzo Comi, presidente e vicepresidente della Camera penale di Roma, hanno apprezzato la larga partecipazione degli avvocati, e l’adesione assicurata anche dai colleghi dei fori di Civitavecchia, Latina e Tivoli: “ Questo dibattito”, hanno dichiarato Placanica e Comi, “ rafforza la consapevolezza del ruolo degli avvocati e attesta la fondatezza delle ragioni della protesta. Occorre ritrovare le ragioni di un dialogo che restituisca la dovuta centralità a una fase delicatissima del sistema penale, dalla quale si misura il livello di efficienza e di civiltà dello Stato”.

ALFREDO BARBATO