Oggi il Senato vota la fiducia sulla manovra economica e subito dopo si riunisce la Direzione del Pd. Due passaggi fondamentali. Ad entrambi gli appuntamenti Matteo Renzi si presenta come presidente del Consiglio ancora in carica, ancorché dimissionario ( in tv) e con formalizzazione entro fine settimana. Chiusa la Direzione Pd già domani Sergio Mattarella potrebbe cominciare le consultazioni: significa che il timer verso le elezioni anticipate è scattato. Ma non è ininfluente stabilire i passaggi che devono portare all’addio della legislatura. I miasmi della campagna elettorale referendaria gettano un’ombra anche sul dopo: nessuno vuole concedere nulla a nessun altro, e perciò le posizioni si radicalizzano spargendo nuovi veleni in una spirale apparentemente senza fondo. I numeri delle urne di domenica inchiodano il premier ad una sconfitta senza se e senza ma. Ma nessun insuccesso è privo di rivincita. Quella che medita Renzi è immediata: sciogliere le Camere a fine anno o al massimo a metà gennaio, e andare al voto nei primi mesi del 2017. Possibile? Forse. Ma è un cammino che impone scarponi chiodati e un bel po’ di Il verdetto referendario infatti, al di là delle notevolissime valenze politiche che ha espresso, conferma una cosa soprattutto: che gli italiani vogliono che la Costituzione resti quella che è. L’articolo 88 della Carta stabilisce che il potere di scioglimento spetta solo ed unicamente al capo dello Stato. Perchè si arrivi a quello sbocco, devono verificarsi alcune condizioni, prima fra tutte che il Parlamento non sia in grado di esprimere una maggioranza. E’ questo il caso?

La risposta, al momento, è una sola: no. Una maggioranza c’è, il referendum non l’ha per nulla intaccata: è il premier che è deciso a lasciare. Dunque perchè le condizioni costituzionali si realizzino, occorre che Renzi vada alla Camere e che queste gli votino la sfiducia. Possibile? Certo, ma politicamente molto costoso: l’autoaffondamento avverrebbe in un oceano di polemiche e le successive elezioni potrebbero risultare amare per chi ha fatto harakiri. Ovviamente di fronte ad una unanime richiesta di elezioni subito, Mattarella potrebbe saltare i passaggi e sciogliere le Camere dopo aver ascoltato i presidenti dei due rami del Parlamento: chissà se si mostrerebbero entrambi favorevoli. Tuttavia non è insensato prevedere che come ultima ratio il capo dello Stato affidi un incarico ad una personalità che giudica idonea ad affrontare la situazione. Poiché il Pd è il partito con più parlamentari, è verosimile che il presidente della Repubblica indichi un esponente di quel partito. Il quale è obbligato ad andare alle Camere per chiedere la fiducia. Anche in questo caso il Pd e Renzi per raggiungere lo scopo dovrebbero votargli contro. Non basta. Allo stato ci sono due sistemi elettorali diversi per Monstrappi. tecitorio e palazzo Madama: vanno perciò uniformati per evitare l’ingovernabilità. Facile a dirsi, più complicato a farsi. Luigi Di Maio, vicepresidente pentastellato della Camera, ha sciorinato la sua road map: Italicum anche per il Senato ( « Bastano 4- 5 righe » ); aspettare il verdetto della Corte Costituzionale del 24 gennaio ( data ufficiale) e poi correre alle urne. Semplice; perfino semplicistico. Se non altro perché quelle 4- 5 righe devono essere votate, e non si capisce dove sia alla Camera che al Senato ( sì, c’è ancora e conta eccome) una maggioranza che opta per un sistema che dichiaratamente favorisce Grillo.

Messe così in fila - anche solo per memoria e senza voler far riferimento ai nodi della legge di Stabilità e ai richiami preoccupati della Ue; ai vertici internazionali dove l’Italia deve andare con un governo forte e autorevole; alla gestione di emergenze delicatissime come l’immigrazione clandestina - si tratta di condizioni che fanno intendere quanto la strada verso la convocazione dei comizi elettorali sia tortuosa. Non fosse che per questo, è un percorso che va condiviso: ma con chi? Renzi potrebbe fare asse con i grillini e con Salvini che per votare subito ci metterebbero la firma: maionese indigesta, però. L’amalgama spurio dovrebbe per di più trovare un punto d’accordo sulla nuova legge elettorale. Spifferi vari lasciavano intendere che poteva essere il sistema proporzionale. Ma ora i Cinquestelle hanno mutato opinione. Bisognerebbe trovare allora l’intesa con Berlusconi. Peccato però che il Cavaliere la legislatura la voglia far continuare: senza contare che il proporzionale taglia i vincoli con con Lega e Fdi. Può restare comunque una tentazione, a patto che ad urne chiuse si sigli un nuovo Nazareno con le conseguenze del caso.

E poi c’è il Pd. Che allo stato è l’incognita più grande e da pilastro minaccia di diventare il buco nero della politica italiana. Cosa voglia fare Renzi è noto; come reagirà il corpaccione del partito assai meno. E’ palese che ci sono settori del Nazareno, non solo della sinistra dem, che temono che andare alle urne subito voglia dire consegnare il Paese a Grillo. E’ altrettanto palese che se il leader pd spinge davvero sull’acceleratore e fa l’” all in” di azzardo, l’assai poco irrilevante effetto sarà la non candidatura degli esponenti della minoranza. Un “ che fai, mi cacci? ” a sinistra. Costo politico forse minimo. Ma quello elettorale?