Non siamo al livello di epidemia, ma c'è ugualmente di che preoccuparsi. I periodici rapporti dei Centri Europei per il Controllo delle Malattie (Ecdc) ci avvertono che negli ultimi anni si registra un incremento dei casi di epatite C: è la versione peggiore del virus, può comportare cirrosi, tumore al fegato; almeno la metà dei casi in una popolazione tra i 25 e i 44 anni, mentre un altro 10 per cento riguarda persone sotto i 25 anni. Non si esagera, dunque, se si parla di situazione d'emergenza: tra il 2006 e il 2012 in Europa si sono registrati oltre duecentomila nuovi casi di malati di epatite C; ben più inquietante la situazione negli altri continenti. L'Organizzazione Mondiale della Sanità valuta che siano almeno 80 milioni le persone affette da epatite C cronica; e 700mila ogni anno le vittime di questo virus. Una strage.Dal "Rapporto globale in materia di accesso ai farmaci per il trattamento dell'epatite C" si apprende che oltre un milione di persone nei paesi a basso e medio reddito hanno beneficiato di nuove, rivoluzionarie, cure per l'epatite C". E' confortante; ma se si raffrontano le cifre, se ne ricava che a godere delle nuove terapie è poco più di una persona su cento di quelle colpite dal virus. "Massimizzare l'accesso al trattamento salvavita per l'epatite C è una priorità", ammonisce Gottfried Hirnschall, direttore del Dipartimento che per conto dell'Oms si occupa del programma globale contro Aids e Hiv. "È positivo che molti paesi abbiano iniziato a fare progressi importanti. Tuttavia, l'accesso rimane fuori dalla portata per la maggior parte delle persone". Sempre l'Oms osserva che "la risposta globale per ridurre l'onere di questa malattia è stato finora molto limitato"; e ricorda che "i nuovi farmaci hanno un tasso di guarigione superiore al 95%, meno effetti collaterali, e possono curare completamente la malattia in tre mesi".Si può aggiungere che nel maggio scorso, durante l'Assemblea Mondiale della Sanità 194 paesi hanno sottoscritto l'impegno per una strategia globale che indica l'epatite "come minaccia per la salute pubblica".Per questo vanno rimossi gli ostacoli che si frappongono all'accesso ai farmaci contro il virus dell'epatite C.; e vanno individuate le eventuali responsabilità, civili e penali, di quanti hanno fatto sì che una consistente quota di malati sia di fatto preclusa da questi farmaci.Il Piano nazionale per la Prevenzione delle Epatiti Virali (Pnev) dell'ottobre 2015 del ministero della Salute, stima che in Italia i pazienti cronici del virus Hcv (epatite C) siano oltre un milione. Questa cifra dà l'idea delle dimensioni del "fenomeno". Tuttavia le informazioni a disposizione sono alquanto carenti, lacunose.Per esempio: c'è chi ha calcolato che nel nostro Paese il costo di listino del trattamento anti-Epatite C oscilla tra i 45mila e i 50mila euro. È così? Si è stimato che l'acquisto del Sofosbuvir e del Sofosbuvir-Ledioasvir generici (i farmaci che curano l'Epatite C con un successo superiore al 95% dei casi), gravano sul Servizio Sanitario Nazionale per circa 12mila euro. È così? I preparati innovativi che vincono il virus sono gratuiti solo per i pazienti più gravi. E chi vuole prevenire lo stadio avanzato, quanto deve pagare?Perché in Italia le cure hanno raggiunto queste cifre iperboliche? Le case farmaceutiche stabiliscono i prezzi con i governi in base al Pil del paese acquirente; e solo da poco questi prezzi sono stati oggetto di una "trattativa" per renderli più accessibili. Ma questa sorta di "calmiere" è solo per determinate fasce, oppure ? come è auspicabile ? vale per tutti i malati? E la copertura verrà assicurata in tutto il territorio nazionale?Tra le regioni più interessate, la Puglia e la Campania. Proprio dal consigliere regionale pugliese nonché medico, Giuseppe Turco arriva l'allarme: "Si possono trattare solo pazienti allo stadio f3 ed f4, cioè pre-cirrosi e cirrosi diagnosticati con fibroscanner. Gli altri, f1 ed f2, che fanno? Devono presentare l'arrivo di altre complicanze; assurdo ma vero... ".L'Epatite C può essere controllata a lungo in una condizione che non crea rischi imminenti; ma la malattia va appunto tenuta sotto controllo per evitare che possa progredire fino a diventare mortale.È evidente che senza la prospettiva di ricavi e profitti, la ricerca farmaceutica privata non esisterebbe. Altrettanto evidente che la sola ricerca pubblica sarebbe del tutto insufficiente e insoddisfacente, come una vasta esperienza "storica" dimostra. D'altra parte il diritto alla salute non può restare un qualcosa di cui beneficiano classi e popolazioni privilegiate. Il diritto alla salute deve diventare sempre più un qualcosa di universale. Si potrebbe dire: dal modello nazionale all'umanità globalizzata?C'è un paradosso: lo stesso prodotto, per l'identica terapia, se acquistato in India costa circa un migliaio di euro. Così ha preso corpo un vero e proprio "turismo farmaceutico". Opportunità altrettanto favorevoli sotto il profilo dei costi, in Pakistan, Egitto, Marocco; e per quel che riguarda l'Europa, Portogallo, Germania e Olanda hanno predisposto, o sono in procinto di farlo, misure che consentono a cittadini che hanno contratto il virus, siano o no nello stadio considerato grave, di avere accesso alle nuove cure. Per non dire della pericolosa pratica degli acquisti on line, incontrollati e incontrollabili.Occorre dunque immaginare un giusto differenziale dei prezzi tra paesi poveri e paesi più ricchi; ma al tempo stesso scongiurare situazioni come quelle che abbiamo descritto. Si può forse pensare a una "regolamentazione" per tutti gli stati, e riguardi al tempo stesso fasce di popolazione meno protette (magari, per queste ultime la somministrazione gratuita, garantita da onlus di sperimentata fiducia e affidabilità); e un apposito organo, (sia l'Oms, sia il Wto), incaricato di garantire questa funzione "regolatrice".Al di là di tutto, la soluzione più logica è rivedere il prezzo di questi salvavita con le aziende, e così coprire i costi della terapia per tutti i pazienti, nessuno escluso. Lo fanno altri paesi; non si vede perché non lo si possa fare anche in Italia. Se poi è proceduto alla revisione del prezzo con una trattativa "riservata" tra ministero e caseproduttrici degli antivirali, sarebbe opportuno conoscere i termini dell'accordo e quali fasce di malati verranno beneficiati.In definitiva, è una questione di volontà politica. Le risposte a queste domande non possono che arrivare dalla Agenzia italiana del farmaco (Aifa), e dal ministero della Salute.Più in generale questo caso non può esimerci dall'urgenza e dalla necessità di una riflessione su come trovare un nuovo equilibrio tra disponibilità e opportunità del "bene" farmaco, e un ripensamento su come vengono assunte le decisioni per la definizione del prezzo dello stesso. Una svolta di questo tipo non può competere unicamente a tecnici e operatori di Aifa o alle aziende produttrici; deve esserci anche un "obbligo" politico, nell'orientare le scelte che investono la vita e la morte di milioni di persone; e se si vuole davvero garantire un diritto umano alla Salute, universale: diritto che deve assumere sempre più una dimensione globale, universale; si potrebbe anche qui dire: dai modelli nazionali alla umanità globalizzata.* Presidente Istituto Luca Coscioni. Ha collaborato alla stesura dell'articolo il medico Ignazio Marcozzi Rozzi