«Donald Trump non è il mio Presidente». Da New York a Chicago, a San Francisco, a Los Angeles, a Seattle, a Filadelfia a Washington D. C., migliaia di persone stanno manifestando sotto quell'insegna. Le cronache registrano anche scontri violenti con la polizia e l'arresto di un centinaio di manifestanti. Si tratta di elettori delusi, che temono che Trump dia seguito alle promesse liberticide e contrarie al rispetto dei diritti civili di cui ha fatto uso a piene mani durante la campagna elettorale. Ma in questo momento contro cosa stanno manifestando questi elettori? Nel momento in cui non riconoscono Trump come loro presidente, qual è il principio e il valore che intendono affermare? La risposta non può che essere: la negazione delle regole della democrazia le quali affermano che spetta governare a colui che vince la competizione elettorale. In un momento nel quale Trump non ha ancora iniziato realmente a governare, negare la sua stessa legittimazione ad essere Presidente degli Stati Uniti significa negare la legittimità di un voto democraticamente espresso. Se, poi, si osserva che le manifestazioni di protesta vedono come protagonisti gli intellettuali e gli studenti, il messaggio che viene dalla più grande democrazia del mondo è ancora più preoccupante. Anche in quel paese le regole democratiche sono meritevoli di rispetto solo se il risultato è conforme alle proprie opinioni. Altrimenti? C'è la violenza.In realtà, si tratta di un fenomeno ormai diffuso in larga parte del mondo occidentale e che, purtroppo, ha una immediata evidenza anche in Italia. Il referendum costituzionale che vedrà impegnato il corpo elettorale nella scelta tra il sì e il no alla riforma costituzionale è segnato, sempre di più, da un eccesso di violenza verbale. Nelle discussioni private che segnano la dimensione sociale della maturazione che ciascuno ha in ordine al voto da esprimere, la dialettica esplode sempre più facilmente in manifestazioni di violenza verbale, che nulla hanno a che vedere con il merito delle riforme e con il fatto stesso che la consultazione elettorale su un tema cosi delicato dovrebbe essere un momento di pacato approfondimento e di intelligente valutazione critica.Il dibattito sul sì o sul no indica, viceversa, che sono venuti meno, sempre di più, i canali di comunicazione con l'altro.All'approfondimento dei temi si è sostituita la declamazione violenta, in cui le ragioni si scolorano in una aggressione verbale senza se e senza ma, che non lascia nessuno spazio alla comprensione e all'analisi. È quello, in fondo, che sta succedendo oggi negli Stati Uniti. La vittoria di Trump ha evidentemente ragioni profonde, che non possono essere individuate, in una ricostruzione semplicistica, nel modo di essere del presidente eletto. Anzi, nel momento in cui tali ragioni sono state condivise da circa la metà del popolo americano meritano necessariamente attenzione e rispetto, quantomeno pari all'attenzione ed al rispetto che si devono alle minoranze linguistiche, razziali, sessuali, etc. Le manifestazioni violente in corso negli Stati Uniti dicono che quella intellighentia politicamente corretta che protesta contro Trump non è, in realtà, capace di confrontarsi con la realtà e di nutrire un sincero rispetto per gli altri.P. S. non amo Trump ed alcuni aspetti del suo programma mi fanno orrore.