La richiesta del magistrato che coordina anche l'antiterrorismo: «Libero accesso ai registri con le notizie di reato». La risposta di Palazzo dei Marescialli: «Decidono i capi delle singole Procure»
È prevista per il Plenum di oggi la votazione del parere della settima Commissione, relatori i togati Francesco Cananzi e Antonello Ardituro, con cui il Consiglio superiore della magistratura ha intenzione stoppare le “mire espansionistiche” del Procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo Franco Roberti. La questione nasce il 3 maggio scorso con un quesito di Roberti all’Organo di autogoverno della magistratura «a seguito delle indicazioni contenute nella risoluzione del Csm, adottata nella seduta del 16 marzo 2016, e relativa alla materia dell’organizzazione degli Uffici di procura competenti per i reati di terrorismo e dei rapporti di questi con la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo».
Nodo del contendere era il “paletto” che il Csm aveva messo al super procuratore nei casi in cui intendesse accedere ai dati del registro delle notizie di reato «per ragioni diverse da quelle previste dalla legge». Fuori dai casi legati, infatti, ad «esigenza di coordinamento e di impulso», sarebbe stata necessaria «l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica titolare del dato per la sua utilizzazione».
Le deroghe chieste da Roberti
Nel suo quesito, Roberti – stigmatizzando che il Csm «non differenzia i casi in cui il dato afferisca ad un procedimento nella fase delle indagini preliminari, ovvero ad un procedimento per il quale sia stata già promossa l’azione penale» – evidenziava come questa «stringente disciplina» andasse superata e, al più, «lasciata ai soli casi in cui i dati acquisiti attengano a persone per le quali non sia stata promossa l’azione penale».
Dietro la richiesta di Roberti, di accedere cioè “senza filtri” ai dati dei registri delle notizie di reato di tutte le Procure, si era ravvisato il rischio concreto di trasformare il Pricuratore nazionale Antimafia in una sorta di “super procuratore d’Italia” dalle competenze di fatto indefinite.
Per evitare questa concentrazione di potere, scrive il Csm nel parere in questione, «resta insuperabile il principio per il quale, nell’attuale ordinamento processuale ed ordinamentale, le valutazioni sulla ostensibilità dei dati relativi ai procedimenti penali e coperti dal segreto istruttorio, restano nella esclusiva disponibilità del Procuratore della Repubblica e, dunque, non può prescindersi da una autorizzazione espressa per la loro utilizzazione esterna al circuito del coordinamento investigativo del sistema requirente». La materia rientra al massimo negli «specifici obblighi di cooperazione con la Procura Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo nell’ambito delle rispettive ed autonome competenze».
Il Csm: basta un protocollo
Con ciò, il Csm ha voluto tutelare «il ruolo e le prerogative dei Procuratori della Repubblica». Anzi, le pur possibili difficoltà operative derivanti dalla necessità di acquisire la previa autorizzazione del Procuratore titolare, «potranno essere superate nell’ambito del fisiologico adempimento degli obblighi di collaborazione e cooperazione dei Procuratori della Repubblica con il Procuratore nazionale Antimafia, e potranno essere inoltre agevolmente risolte attraverso la predisposizione di regole procedimentali provenienti dalla Direzione nazionale Antimafia o oggetto di eventuale stipula di protocolli operativi che ne disciplinino tempi e modi di acquisizione». Protocolli sui quali, del resto, il Consiglio «ha ripetutamente mostrato favore e sui quali ben potrà esprimersi all’atto (o in corso) della loro adozione». Come dire: ognuno resti al suo posto.
Il no del Csm ai “superpoteri” di Roberti
È prevista per il Plenum di oggi la votazione del parere della settima Commissione, relatori i togati Francesco Cananzi e Antonello Ardituro, con cui il Consiglio superiore della magistratura ha intenzione stoppare le “mire espansionistiche” del Procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo Franco Roberti. La questione nasce il 3 maggio scorso con un quesito di Roberti all’Organo di autogoverno della magistratura «a seguito delle indicazioni contenute nella risoluzione del Csm, adottata nella seduta del 16 marzo 2016, e relativa alla materia dell’organizzazione degli Uffici di procura competenti per i reati di terrorismo e dei rapporti di questi con la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo».
Nodo del contendere era il “paletto” che il Csm aveva messo al super procuratore nei casi in cui intendesse accedere ai dati del registro delle notizie di reato «per ragioni diverse da quelle previste dalla legge». Fuori dai casi legati, infatti, ad «esigenza di coordinamento e di impulso», sarebbe stata necessaria «l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica titolare del dato per la sua utilizzazione».
Le deroghe chieste da Roberti
Nel suo quesito, Roberti – stigmatizzando che il Csm «non differenzia i casi in cui il dato afferisca ad un procedimento nella fase delle indagini preliminari, ovvero ad un procedimento per il quale sia stata già promossa l’azione penale» – evidenziava come questa «stringente disciplina» andasse superata e, al più, «lasciata ai soli casi in cui i dati acquisiti attengano a persone per le quali non sia stata promossa l’azione penale».
Dietro la richiesta di Roberti, di accedere cioè “senza filtri” ai dati dei registri delle notizie di reato di tutte le Procure, si era ravvisato il rischio concreto di trasformare il Pricuratore nazionale Antimafia in una sorta di “super procuratore d’Italia” dalle competenze di fatto indefinite.
Per evitare questa concentrazione di potere, scrive il Csm nel parere in questione, «resta insuperabile il principio per il quale, nell’attuale ordinamento processuale ed ordinamentale, le valutazioni sulla ostensibilità dei dati relativi ai procedimenti penali e coperti dal segreto istruttorio, restano nella esclusiva disponibilità del Procuratore della Repubblica e, dunque, non può prescindersi da una autorizzazione espressa per la loro utilizzazione esterna al circuito del coordinamento investigativo del sistema requirente». La materia rientra al massimo negli «specifici obblighi di cooperazione con la Procura Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo nell’ambito delle rispettive ed autonome competenze».
Il Csm: basta un protocollo
Con ciò, il Csm ha voluto tutelare «il ruolo e le prerogative dei Procuratori della Repubblica». Anzi, le pur possibili difficoltà operative derivanti dalla necessità di acquisire la previa autorizzazione del Procuratore titolare, «potranno essere superate nell’ambito del fisiologico adempimento degli obblighi di collaborazione e cooperazione dei Procuratori della Repubblica con il Procuratore nazionale Antimafia, e potranno essere inoltre agevolmente risolte attraverso la predisposizione di regole procedimentali provenienti dalla Direzione nazionale Antimafia o oggetto di eventuale stipula di protocolli operativi che ne disciplinino tempi e modi di acquisizione». Protocolli sui quali, del resto, il Consiglio «ha ripetutamente mostrato favore e sui quali ben potrà esprimersi all’atto (o in corso) della loro adozione». Come dire: ognuno resti al suo posto.
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