Uccidere un tiranno non è reato né peccato nelle maggiori dottrine giuridiche, politiche e religiose del mondo. Ma certo avvisare un proprio vicino che si sta pianificando il suo assassinio potrebbe essere una mossa diplomaticamente quantomeno insolita. Eppure è quanto è accaduto nella sempre più tesa penisola coreana, dove la situazione negli ultimi tempi sta degenerando e ha subito una ulteriore escalation nelle scorse settimane dopo il test nucleare della Corea del Nord. Ultimo effetto della crisi è stato che nel parlamento di Seul il ministro della difesa sudcoreano Han Min-koo ha dovuto rassicurare i parlamentari che esistono piani per prevenire un attacco nucleare da parte dell'instabile vicino settentrionale. E che questi piani comprendono operazioni speciali per portare all'eliminazione del dittatore di Pyongyang Kim Jong Un. Secondo quanto riportato dalla CNN in caso di reale minaccia atomica un commando di forze speciali sarebbe pronto a entrare in azione per rimuovere il presidente nemico, mentre la Difesa di Seul avrebbe predisposto l'utilizzo di missili di precisione per colpire obiettivi nemici in diverse zone. Peraltro nei giorni scorsi in risposta alle provocazioni nordcoreane per almeno due volte potenti bombardieri americani si sono avvicinati al confine lungo il 38° parallelo. E in Corea del Sud l'opinione pubblica è sempre più preoccupata e sempre meno propensa al dialogo: nel crescente dibattito sulle armi nucleari, il 58% dei sudcoreani vorrebbe che Seul si dotasse di armamento nucleare per difendersi da Kim Jong Un. La Corea del Sud ha già un accordo militare con gli Stati Uniti secondo il quale Washington potrebbe usare armi nucleari nel caso in cui la Nordcorea attaccasse Seul.A inizio settembre Pyongyang ha condotto il suo quinto test atomico facendo esplodere la bomba atomica più potente che abbia prodotto finora (ma ancora di poco inferiore a quelle sganciate sul Giappone nel 1945). Cosa ancor più grave, Kim Jong Un ha vantato che la bomba prodotta è tale da poter essere montata sull'ogiva di un missile, e quindi rappresenta un'arma utilizzabile e di conseguenza un pericolo reale. Tanto che stavolta anche la Cina è stata molto dura col bizzoso vicino. Già a marzo in risposta al quarto test nucleare nordcoreano, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva emesso la risoluzione 2270, che prevede aspre sanzioni commerciali nei confronti del regime comunista. Ma nonostante l'isolamento commerciale e finanziario, la Corea del Nord non ha rinunciato alle sue ambizioni nucleari, e ha ribadito più volte la sua volontà di continuare a sviluppare l'arsenale atomico per la propria "sopravvivenza". Anzi, Pyongyang chiede di essere riconosciuta come potenza nucleare. Un irrigidimento che sta costando la reazione delle altre nazioni interessate. Il premier giapponese Abe ha approfittato del suo discorso all'Assemblea generale dell'Onu per chiedere alla comunità internazionale di trovare nuove soluzioni per fermare la minaccia proveniente dalla Corea del Nord: «La minaccia alla comunità internazionale è diventata sempre più grave e più realistica. Richiede nuovi strumenti per affrontarla, anche diversi da quelli che abbiamo applicato fino a ieri», ha detto Abe. E nonostante le tante divergenze Cina e Stati Uniti hanno raggiunto un accordo per cooperare per risolvere la questione nordcoreana, come ufficializzato nel comunicato rilasciato al termine del bilaterale tra Obama e il premier cinese Li Keqiang. I due Paesi hanno annunciato di aver preso in considerazione eventuali ulteriori sanzioni attraverso i canali Onu in risposta all'ultimo test nucleare, con Pechino più propenso al ripristino del dialogo anche in assenza di una rinuncia concreta di Pyongyang al programma nucleare.Eppure a Pyongyang non solo continuano a tirare dritto, ma sembrano preoccupati più che altro da altri argomenti: è stato imposto il limite di velocità di 5 chilometri orari ai veicoli che transitino nei pressi delle statue di Kim Il Sung e di Kim Jong Il, rispettivamente nonno e padre ed entrambi predecessori dell'attuale leader Kim Jong Un.