Possiamo dirlo? Ma sì, dai: sono due pistole caricate ad acqua. Sul manico hanno stampigliato l’una “elezioni anticipate subito”, cioè prima di ottobre; l’altra addio alla maggioranza attuale e “ritorno nel centrodestra”. La prima, con la mano sinistra, la brandisce Matteo Renzi; la seconda, ferma nella destra, i frondisti dell’Ncd al Senato. Risultato: crisi di governo? Ma va là, stiamo scherzando, non si vede? Però attenzione, guai a distrarsi: a forza di baloccarsi, i guai arrivano e magari diventano irreparabili.Bene, lasciamo da parte l’ironia. Veniamo al sodo. Le fibrillazioni nella coalizione di governo, come ampiamente rilevato nei giorni scorsi, hanno una origine chiara: la difficoltà in cui si dibatte il premier. Renzi continua a dire che il risultato amministrativo mal si presta ad una lettura in chiave nazionale. Forse. Se tuttavia volesse lumi basterebbe che si guardasse attorno: a parte lui ed i suoi fedelissimi, la stragrande schiera del mondo politico interpreta gli schiaffi di Torino, Roma e Napoli come il segno di un netto indebolimento della sua leadership. Forse irreversibile, forse no: certamente avvertibile e pienamente riscontrabile. Ovvio che se vacilla il pilastro su cui si regge l’attuale, complessivo equilibrio politico, è l’intero edificio della maggioranza che pencola; mentre le opposizioni prendono fiato.Questo spiega i nervosismi che si accavallano nelle forze politiche. Naturalmente quelle di governo sono le più esposte, ed il fianco debole è rappresentato dai centristi. Le inchieste su Alfano hanno gettato benzina sul fuoco delle incertezze, e stimolato gli insoddisfatti (anche contro il titolare degli Interni) ad alzare la voce. Concentrando il fuoco amico su un bersaglio oltremodo appetibile: la modifica della legge elettorale. Come suo costume, di fronte a tanto turgore polemico il presidente del Consiglio ha risposto alzando il tiro: se vogliano farmi cadere si accomodino, ha fatto sapere: la risposta invece del cambio dell’Italicum sarà lo scioglimento del Parlamento. Così che i frondisti la prossima legislatura la seguiranno comodamente seduti dal divano di casa invece che dagli scranni del Parlamento.Sicuro? Per niente. Nel momento stesso in cui palazzo Chigi ha distribuito la sua verità, dal Colle più alto - quello che in caso di crisi è l’unico ad aver titolo istituzionale ad agire - è arrivato lo stop. Scioglimento? E chi l’ha detto? Il capo dello Stato non solo non pensa ad un automatismo che porti alle elezioni dopo il referendum e in caso di vittoria del No: ancor meno ci pensa a firmare il decreto di scioglimento primache la consultazione popolare si svolga. Insuperabile, infatti, risulta l’ostacolo di due eleggi elettorali diverse per due rami del Parlamento. E anzi, visto che ci siamo: a chi parla di slittamento del referendum a dicembre, il Quirinale si avverte che il termine per aprire le urne non è discrezionale, lo stabilisce la legge. Dunque si vota ad ottobre, punto. Se all’inizio, a metà o alla fine poco importa: ottobre deve essere e ottobre sarà.Ne consegue che, in caso di continuata riottosità centrista, l’arma delle elezioni anticipate brandita - così si legge sui giornali, e chissà se poi è vero - da palazzo Chigi si dimostra, appunto, un’arma giocattolo. Tradotto: Renzi dovrà per forza di cose gestire le difficoltà entro il perimetro costituito dagli attuali equilibri di forza parlamentari. Manovre spericolate, con i mercati internazionali che non vedono l’ora di gettarsi sulla speculazione targata Italia, l’Europa che guarda preoccupata e la legge di Stabilità da presentare dopo l’estate, non sono ammesse.Però, voltando la testa sul fronte opposto, non è che la pistola con la quale si dilettano i frondisti Ncd sia più consistente e metta più paura. Le inquietudini sono innegabili e guai a sottovalutarle: valga per tutte la proposta di “appoggio esterno” all’esecutivo fatta filtrare da più parti. A parte il netto sapore di acrobazia da prima repubblica, di fatto non avrebbe altro risultato che privare della poltrona ministeriale Alfano, la Lorenzin e Costa, più una pletora di sottosegretari. Non esattamente il balsamo per lenire eventuali ferite politiche: caso mai il contrario. Ma soprattutto in quale centrodestra gli eventuali transfughi (per i quali la parabola del figliol prodigo non funziona, avverte Cicchitto) dovrebbero riversarsi? Quello in cui lo stato maggiore di FI scruta l’algoritmo della convalescenza del Cav (ex...) per capire la direzione da prendere? Quello nel quale Salvini e Meloni vogliono uscire dall’euro e nel frattempo lapidano il Viminale, familiari compresi? O infine quello del Comitato per il No, dove si assembrano i contrari alla riforma costituzionale, la medesima che una manciata di settimane fa è definitivamente passata alle Camere con il voto soddisfatto del Nuovo centrodestra? La realtà è che ogni scenario può prendere consistenza solo dal momento in cui Renzi esce di scena. E così si ritorna al punto di partenza. Perché una cosa è indiscutibile: il premier mai e poi mai può permettersi di anche solo alludere a possibili ritocchi alla legge elettorale (che comunque non vuole) prima di aver vinto il referendum. In caso contrario, infatti, rischia di scompaginare il quadro. Riforma costituzionale ed Italicum sono un tutt’uno: togliere o cambiare un pezzo farebbe venir giù l’intero impianto.Insomma il risiko fibrillatorio è allo stato nient’altro che un esercizio tutto virtuale a somma zero. Fare la crisi in tempi stretti, magari la prossima settimana quando a palazzo Madama si voterà il decreto sugli Enti locali, vuol dire aprire un vaso di Pandora con effetti che possono risultare nefasti. In particolare per chi si prende la responsabilità di scoperchiare.Finita così allora? Affatto. L’insoddisfazione, come è noto, è una pentola a pressione che prima o poi scoppia. Bisognerebbe perciò che qualcuno spegnesse la fiamma sotto. Purtroppo in giro si vedono solo incendiari con le tasche piene di fiammiferi. I pompieri latitano: fanno meno titolo su giornali e tv.