Dopo le recenti elezioni, che, a mio parere, mettono in mostra la permanenza di un forte disagio sociale evidenziato dalla conferma di alti tassi di assenteismo e dall’indebolimento degli schieramenti tradizionali di destra e sinistra, con l’affermazione di una nuova forza politica (M5S) che al momento non risulta classificabile con le tradizionali, bisogna avviare una profonda riflessione fuggendo da ogni demonizzazione. Le democrazie hanno sempre la possibilità di generare delle nuove esperienze e queste vanno colte e interpretate da chi ha o sente di avere maggiori responsabilità politiche di fronte al Paese, all’Europa e, complessivamente, alla comunità internazionale.La riflessione deve andare oltre la conta dei numeri e dei luoghi ove si è vinto o perso, ma valutare come si sono orientati i vari ceti sociali ed in particolare le lavoratrici e i lavoratori dipendenti, i giovani e gli abitanti delle “aree periferiche”, sia urbane che sociali. Chi paga il maggior scotto è sicuramente il Pd che sembra veder arrestare la marcia ascendente che gli aveva impresso il segretario Renzi.Un riformismo orientato culturalmente da una sorta di “liberismo temperato” alla Blair, non sembra essere convincente e non amplia il consenso, anzi genera timori e riprovazioni. Forse più che andare a spasso con gli imprenditori, i banchieri, i “signori” dell’economia, sarebbe utile che si riprendesse un contatto con il mondo dei lavoratori dipendenti, con coloro che si guadagnano la vita con il lavoro e valutare quanti timori creano e diffondono misure che intervengono sul mercato del lavoro, sul sistema pensionistico, sulla sanità. Sembra che sia venuta meno la tensione verso l’uguaglianza e la solidarietà. Ma se la sinistra perde il riferimento al principio emancipatorio, finisce per non essere più compresa da chi vive lo stato di subordinazione e di dipendenza. La modernizzazione del Paese non si realizza orientandosi verso una società di mercato, in cui a contare sono solo i soldi. Le persone e la società nel suo complesso hanno bisogno di un sogno, di speranze, di giustizia, di equità e di moralità e non di una serie di determinazioni conformistiche.Sono convinto che il voto degli italiani abbia rilevato un "gap di aspettativa".Credo che ci sia un bisogno profondo di un discorso, o meglio, di una narrazione che demistifichi l’illusione che un futuro migliore possa esserci passando da beni pubblici a beni privati, dall’indebolimento della rispettabilità delle istituzioni sostituita con la crescente importanza delle oligarchie al governo o del premier, da una riduzione delle tutele collettive per una esaltazione di un merito che non si comprende chi lo possa definire, da una professionalizzazione estrema della funzione politica che pone l’eletto in una insolita e talvolta debole visione etica, di un progresso sociale orientato solo sull’aumento dei diritti individuali e staccato da una visione della società nel suo complesso, su forme ideologiche che tendono ad ignorare i limiti e la finitezza umana.Compito della politica è promuovere le condizioni per vivere bene e per generare i diritti di tutti in un quadro di moralità pubblica e di responsabilità condivise che non lasciano appassire il desiderio di giustizia e di fraternità; una politica che si prende il rischio di non dimenticare l’attenzione verso il più fragile.Per superare questa situazione di stallo, serve un nuovo lavoro politico, da fare con perseveranza che ognuno si impegni, per quello che può, a trovare o a costruire con altri una visione coerente del destino di tutti.Questo per me significa ristabilire il contatto positivo con la tradizione sociale e democratica italiana.Questo contratto sociale, che si è formato a poco a poco nella nostra storia, merita di volta in volta di essere aggiornato con i nuovi dati dal presente. Nello stesso tempo non dovremmo perdere la bussola del nostro orientamento antropologico, non per ricreare esclusioni che oggi sarebbero anacronistiche, ma per partecipare in libertà al confronto-dialogo con altre storie e tradizioni e tendere insieme al bene comune.Dobbiamo rilanciare con forza un progetto riformatore per contribuire alla rinascita della vita pubblica, per contribuire ad arricchire il dibattito e la proposta politica e superare il riformismo anemico dei nostri tempi contribuendo alla definizione di una coerenza tra gli obiettivi della comunità politica, il bene comune e la promozione della dignità di ogni persona. Quest’ultima intesa come dignità che si manifesta in relazione agli altri.Se guardiamo la politica, con occhi e mente liberi dagli attuali schieramenti e collocati con chiarezza con i ceti più deboli, vediamo che le diverse crisi della politica che abbiamo attraversato in questi ultimi vent’anni sono state generate dalla rottura di questa coerenza o dall’idea dall’espulsione del bene comune dagli orientamenti personali e generali.Il progetto riformatore non si ferma ai confini nazionali. Aiuta a pensare al futuro della nazione come parte dell’Europa e della comunità mondiale. In un mondo in cui si muore ancora di fame, dove una moltitudine di bambini sono denutriti e dove la maternità resta un rischio e le guerre imperversano facendo aumentare il numero delle persone minacciate e costrette a cercare un rifugio, si dovrebbe iniziare a pensare in modo nuovo la giustizia sociale in termini globali. Innanzi all’avanzare della globalizzazione dei mercati, delle merci, delle comunicazioni sorge l’esigenza pressante a ricoinvolgere i pubblici poteri nell’economia e nella regolazione della distribuzione della ricchezza.Immettersi in questa prospettiva significa, in ultima analisi, rafforzare e incoraggiare il crescere di un atteggiamento etico e sforzarsi di vivere la politica come luogo di esercizio della coerenza. Significa continuare ad affermare, ad alta voce, che la "politica" svolge un ruolo insostituibile per attraversare il cambiamento sociale economico, ecologico che coinvolge l’umanità.  I risultati delle ultime elezioni vanno compresi fino in fondo per cogliere soprattutto le istanze di socialità e di moralità pubblica che esprimono. Non possiamo accettare l’idea che quello che viviamo sia il migliore dei mondi possibile e che il massimo che si può fare sia di riformarlo, quando invece l’istanza profonda che emerge dal problema migratorio e dalla crisi ecologica è di produrre uno sforzo per cambiarlo.Per costruire questa possibilità bisogna cercare di costruire ponti e non ostracismi e chiamare tutti a lavorare perché le diversità non siano ostacolo alla costruzione di una “ragionevole aspettativa”.