Lo scrittore Antonio Moresco, straordinario narratore, di certo tra i migliori che il Belpaese possa vantare, ha trovato inaccettabile la propria esclusione dalla “cinquina” del Premio Strega, sicuramente il più prestigioso e “mondano” riconoscimento letterario nazionale. Forse connotato perfino politicamente. A sinistra. Un premio "comunista", già. Le sue parole, consegnate alle pagine di Repubblica, custodiscono, di più, fanno brillare infatti una denuncia esplicita.Sarà bene riportarla quasi per esteso: «Nelle stanze e nelle terrazze sovraffollate della Fondazione Bellonci, in un situazione di estraneità, ho assistito al consumarsi di un antico rito, quello della votazione per eleggere la cinquina dei finalisti dello Strega, dalla quale è stato escluso il mio ultimo romanzo intitolato L’addio (edito da Giunti ndr). Non sono una persona ingenua al punto di non sapere come stanno le cose e non mi faccio illusioni. Ma quello che ho visto è stato più prevedibile e desolante di quanto avessi immaginato. Tutti sanno e tutti fanno finta di niente, come se fosse naturale un simile orrore. Sapevo quanto il gioco fosse truccato. Eppure mi ha impressionato il fatto di non essere stato neppure ritenuto degno di entrare nella cinquina degli attuali finalisti, come mi ha impressionato che nel più noto premio nazionale tutti i finalisti, tutti, nessuno escluso, abitino a Roma».Il riferimento a Roma, pronto a concludere e magari incoronare di spine e insieme di una tiara turrita lo sfogo di Moresco, è forse il nodo principale della nostra possibile discussione. Lo è in un’accezione assai municipale e insieme politica e poi, ovviamente, nel suo versante antropologico. Roma, dunque, come crocevia di una macchina clientelare “dolce”, ergo di un sistema di cooptazione che in nome della comune appartenenza, meglio, all’essere “amichetti”, fa sì che alcuni tra i migliori “prescelti”, anzi “salvati”, raccontino un evidente salotto cittadino mostrando invece sullo sfondo i “sommersi”. Gli espulsi da ciò che abbiamo definito clientelismo, anzi, clientelismo dal volto umano, il medesimo che, come abbiamo pronunciato già in passato, delinea una P2 culturale di sinistra che sembra decidere delle umane e delle fantastiche cose nell’ambito, appunto, letterario. Dimenticavo, nelle parole di Moresco c’è anche quel «tutti sanno e tutti fanno finta di niente, come se fosse naturale un simile orrore».Sì, evidentemente tale orrore, dai connotati – lo ripeto - perfino antropologici, ministeriali, sembra davvero possibile, soprattutto alla luce del bisogno di appartenenza, ed è davvero inutile cercare di spiegare alla maggior parte dei partecipanti alla recita annuale di Casa Bellonci che la letteratura dovrebbe invece essere soprattutto “sabotaggio” ai danni del luogo comune, del conformismo, dell’ovvio e dell’ottuso, e non “dominio” della banalità travestita da strumento di consenso, anzi, per dirla con Veltroni, da “vocazione maggioritaria”. D’altronde, restando all’inventore del “Modello Roma”, lo stesso che ha condizionato e ancora condiziona la vita culturale cittadina, vorrà dir qualcosa il consenso plebiscitario che ottengono i suoi terrificanti libri e film, autentici crimini contro l’estro e la fantasia, musica leggera per ceti medi, in tutto medi, tuttavia intoccabili presso il salotto di sinistra cittadino e forse non soltanto presso quello.Chiunque, in possesso di un minimo d’amor proprio e dunque minimamente dotato nella percezione dell’assurdo e del ridicolo, l’altra sera ai Parioli, durante lo spoglio delle schede nella sauna torrida di Casa Bellonci, avrebbe scosso la testa come sempre andrebbe fatto davanti al teatro delle maschere che sfiora la farsa. Già, chiunque si sarebbe domandato se davvero la letteratura, il talento letterario possa essere riassunto dalla protervia di qualche vecchio arnese convinto di sé in nome delle stimmate borghesi oppure dallo sguardo spento del vincitore annunciato, ma che dico?, del vincitore certo, lo stesso cui il contesto sembrava avere cancellato ogni bagliore interiore, e ancora, se posso dalla stessa gioia del “giovane” entrato in cinquina abbracciato dagli amici in lacrime o la scrittrice che ha sfoderato un look da ratto delle Sabine in versione dark-hipster. Insomma, è letterariamente sensato provare entusiasmo per il nulla, per il deserto editoriale di questi anni?Ma torniamo ad Antonio Moresco. Questi, da Scrittore Ferito, lo si è detto, ha parlato di una “situazione di estraneità”. Ecco, sì, ma se fosse proprio quello – proprio l’ambito dell’estraneità – il vero territorio della letteratura, dunque se fosse davvero il caso di sentirsi estranei alla cerimonia dello Strega, con le sue macerie, le sue miserie, la sua assenza di eros (e la letteratura senza eros non ha ragion d’essere), ogni anno il medesimo copione, proprio vero che Roma non conosce paesaggio che non sia quello dell’angustia piccolo borghese? Da almeno un lustro, i più lucidi e disincantati tra gli “Amici della Domenica”, ossia i giurati del premio, si ritrovano puntualmente a interrogarsi su come sia possibile che un simile obitorio possa suscitare così tanto interesse, che ci sia di mezzo il bisogno di vendere qualche copia in più in un paese che vede il libro come un bene men che secondario, quasi vergognandosene a meno che non si tratti di paccottiglia di genere? Alla fine, di fonte al deserto, ti tornano in mente i versi di un Pasolini che prova a “insegnare ai borghesi la gioia della libertà”, e immagina coloro che «distruggeranno Roma e sulle sue rovine deporranno il germe della Storia Antica. Poi col Papa e ogni sacramento andranno come zingari su verso l’Ovest e il Nord con le bandiere rosse di Trotzky al vento... ».Peccato che perfino Pasolini, come testimonia il suo epistolario, si trovò costretto a scrivere ai colleghi mendicando voti per sé allo Strega. Tornando all’edizione 2016, finora l’unica vera emozione letteraria, dunque erotica, è giunta dalla rabbia di Antonio Moresco. In assenza delle bandiere profetizzate da PPP, sventoliamo la sua sincerità contro gli "amichetti" di sempre.