Quanto saranno costate in voti quelle sciagurate parolette che Tommaso Padoa-Schioppa, allora ministro dell'Economia nel governo Prodi, pronunciò senza pensarci su due volte una decina d'anni fa: «Pagare le tasse è una cosa bellissima? » Quanti elettori già di sinistra avranno deciso di veleggiare verso più ospitali lidi convinti dalla grinta torva dell'a sua volta ex ministro dell'Economia Vincenzo Visco, che la pensava come Padoa e non lo nascondeva?Non è che nel demente ventennio che ancora non abbiamo alle spalle la sinistra sia stata rigorista e la destra no. Nei fatti tutti si sono uniformati ai diktat che un'Europa non ancora fiaccata dai suoi stessi imperdonabili sbagli dispensava come coriandoli. Quando è arrivato l'ordine folle di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione, destra e sinistra hanno obbedito a braccetto. La differenza sta nel fatto che la sinistra sembrava esaltare il rigore e accettarlo con passione, mentre la destra mostrava di subirlo controvoglia.Per trovare dichiarazioni sensate anti-rigoriste nel panorama della sinistra italiana bisogna arretrare di decenni: fino al discorso parlamentare con cui l'on. Giorgio Napolitano, all'inizio del 1979, annunciò l'uscita del Pci dalla maggioranza proprio in seguito all'adesione acritica dell'Italia allo Sme, l'incubatrice della moneta unica. Un discorso inappuntabile che lo stesso Napolitano ha poi usato come una specie di bussola al contrario, avendo negli ultimi decenni esaltato tutto quel che criticava allora. Si trattava comunque di un anomalo spiraglio: già da anni il Pci, con lo stesso Napolitano nelle vesti di responsabile dell'Economia in prima fila, si scalmanava per il rigore. Al quale doveva immediatamente sottostare, come ti sbagli, la classe operaia. A riprova della capacità di farsi carico dell'interesse generale a proprie spese.Nella fascinazione della sinistra per il rigore coabitano per la verità spinte distinte e di diversa levatura. C'è sicuramente, in parte, la visione sacrificale del comunismo di Enrico Berlinguer. C'è l'eredità di un partito che nella prima Repubblica combatteva le borse dai cordoni allentati anche perché grazie a quegli sprechi i partiti al potere acquistavano consenso facile. Nella seconda Repubblica il gioco delle parti mediatico tra Berlusconi da un lato e il centrosinistra dall'altro costringeva il primo a fingersi più antirigorista di quanto non fosse all'atto pratico e il secondo a fare propria senza spiragli la linea opposta. Il rigore, poi, significava Europa e si sa che in nome dell'Europa tutto doveva essere accettato con scomposto quanto infondato entusiasmo.Però non c'era solo questo. Forse il manifesto più eloquente del rigorismo di sinistra lo ha scritto un tecnico che di sinistra non è mai stato: Mario Monti, in un indimenticabile editoriale del Corriere della Sera intitolato "Il podestà straniero". Monti non era ancora podestà, o presidente del consiglio che in quel caso era sinonimo, e già spiegava che non c'è nulla di male nell'arrivo da fuori" di un castigamatti capace di correggere i vizi e di difetti atavici degli italiani. Campeggia, dietro il rigorismo, un'insana idea pedagogica, secondo la quale gli italiani andrebbero educati con la dovuta severità, anzi col dovuto rigore. Da questo punto di vista il fatto che i parametri siano "stupidi", come da definizione di uno dei loro artefici, Romano Prodi, è in fondo secondario. Un po' come nella disciplina militare l'importante, per gli italiani, è l'addestramento consistente nel rispettarli comunque, indipendentemente dal loro effettivo contenuto.Per questo la rottura di Renzi con la tradizione della sinistra e del suo partito in particolare almeno sul piano simbolico è radicale e netta. Nel concreto le cose sono più sfumate. La manovra pensata con le urne ben fisse nella mente non è una sterzata antirigorista, non comporta nessun intervento strategico tale da tirare davvero in direzione opposta a quella di sempre. E' tutt'alpiù una libera uscita referendaria. Ma quanto a immaginario e quanto a fissazione di valori, tutta roba che in politica pesa molto più di quanto non appaia, il ragazzo di Rignano ha rottamato una intera cultura. Non c'è nulla di sorprendente nella scelta di Mario Monti, che voterà No al referendum non perché deluso dalla riforma ma perché convinto che una eventuale vittoria del Sì spalancherebbe la porta a sprechi, evasioni e indebitamento alle stelle.Il rigore non ha funzionato. Si è dimostrato una ricetta letale, il classico rimedio peggiore del male. Ma gli italiani, si sa, sono quello che sono: ammettere che esista un'evasione di sopravvivenza sarà pure un prendere atto della realtà, ma con un popolo simile non vorrà dire invitarli alla grande fuga? I parametri si saranno pure dimostrati una gabbia tanto soffocante da destabilizzare in nome della stabilità. Ma al popolo di Alberto Sordi e di Silvio Berlusconi questo non lo si può dire.