BERLUSCONI CHIEDE AL PREMIER DI EVITARE FORZATURE E LASCIARE LE FORZE DI MAGGIORANZA LIBERE DI VOTARE IL PROVVEDIMENTO

Fi non rinuncia alla propria identità e propone la conta in Aula senza rotture

Di qui a martedì prossimo, giorno dell'approdo della delega fiscale in Aula, la maggioranza dovrà aver trovato una porta stretta grazie alla quale uscire dal guaio senza precipitare in una crisi di governo che nessuno vuole, né in Italia né all'estero. Solo che venirne fuori non è facile perché in ballo non c'è solo una riforma, peraltro tutt'altro che rivoluzionaria, come quella del catasto ma l'intero modo di affrontare i prossimi mesi da parte sia dei partiti che del governo.

I partiti non possono rinunciare momentaneamente alla propria identità, come ha chiesto pubblicamente Draghi. Non possono in generale, ma a maggior ragione con elezioni politiche imminenti. Nei tempi lunghi non sarebbe neppure consigliabile a fini di stabilità. Comunque finisca il ballottaggio del 24 aprile, il primo turno delle elezioni francesi ha infatti già consegnato alla politica un messaggio preciso. La spinta ' antisistema' non è affatto esaurita. Sommando le sue espressioni di destra e sinistra va in Francia oltre il 50 per cento e in Italia il quadro non è probabilmente diverso. Lasciare quell'amplissima parte di società senza neppure le vestigia di una rappresentanza politica significa renderla più vasta, più incattivita, più disperata tanto più con di fronte una possibile crisi economico- sociale di dimensioni rilevanti. La rinuncia da parte dei partiti a difendere i propri temi identitari, cioè le fondamenta della rappresentanza, sarebbe forse comodo sul momento ma destabilizzante più di ogni altra cosa in prospettiva.

Draghi, da parte sua, non può rinunciare a una certo dirigismo, essendo di fatto più un commissario che un premier e avendo di fronte scadenze e rapporti internazionali che mal si conciliano con le esigenze della mediazione politica. Non è la persona adatta e non ha una missione adeguata per prestarsi al difficile gioco d'equilibrio che una politica non commissariata implica. E tuttavia, almeno in parte, dovrà accettare le regole del gioco della politica.

La sola via d'uscita, infatti, è quella indicata sabato scorso da Silvio Berlusconi. Se il governo tenterà di far passare senza modifiche la delega fiscale con la fiducia la destra dovrà votare contro, per questioni tutt'altro che secondarie o formali di identità politica, e il governo dovrà dimettersi. Se Draghi accetterà di eliminare la riforma del catasto dalla delega le richieste e i ricatti dei partiti si moltiplicheranno sino a paralizzare l'attività del governo. Dunque non resta che evitare la fiducia, che equivarrebbe a rendere la crisi inevitabile, e lasciare che la maggioranza si divida in Aula, sapendo che, se sconfitta, l'area della maggioranza in dissenso con il governo non ne farà una tragedia e non provocherà la crisi. Questa, in concreto, è la soluzione indicata da Berlusconi ed è forse la sola via praticabile.

A Draghi questa strada non può piacere. È molto diversa da quella disciplinata unità della maggioranza intorno al governo. Implica al contrario l'alta probabilità che le divisioni si ripetano e si moltiplichino, di fatto con una maggioranza che a volte e forse spesso vota in ordine sparso salvo fare quadrato intorno alla sopravvivenza del governo stesso. I rischi di qualche sconfitta per la linea del governo ci sono ma nella stragrande maggioranza di casi non andrà così e il dissenso non provocherà danni irreparabili ai provvedimenti chiave. Non è certo l'ideale, ma anche una maggioranza così composita, anomala e divisa tutto è tranne che l'ideale.

Nella situazione data, accettare la possibilità di divisioni nella maggioranza non sarebbe, come in circostanze normali, un vulnus profondo, o almeno non quello più grave. La strada opposta, quella che preferirebbe di certo il premier è probabilmente più efficiente nei tempi brevi, comporta meno sforzi di mediazione, tempi più celeri, immagine più compatta da offrire al Paese per rassicurarlo, come ha sottolineato lo stesso Draghi. Ma significa anche affrontare una fase delicatissima e che innescherà effetti di lungo periodo di fatto in una situazione di democrazia rappresentativa sospesa. Con i partiti incaricati solo di garantire l'approvazione dei provvedimenti del governo e un Parlamento condannato nella migliore delle ipotesi, a limare qua e là quei provvedimenti. Per la democrazia italiana e per le sue prospettive non sarebbe un risultato brillante e le conseguenze sarebbero probabilmente più esiziali della rinuncia da parte del governo a una sorta di ' commissariato assoluto'.