Chi se li ricorda più i tempi, in realtà non lontani, in cui la Lega Nord di Bossi era finita nel magazzino delle buone cose di pessimo gusto, una polverosa reliquia rimpiazzata dalla nuova e smagliante Lega nazionale di Matteo Salvini? Oggi, appena due o tre anni dopo, è quella Lega che sembrava destinata a spopolare anche al centro e nel sud ad apparire come un caro ricordo. Fallita l'impresa e spronato dal suo stesso stato maggiore, Salvini ha fatto di necessità virtù e ha reso di nuovo la Lega rappresentante degli esclusivi interessi del Settentrione.

Il progetto di autonomia differenziata di Calderoli, sul quale la Lega si è impuntata più che su qualsiasi altra cosa nonostante il fortissimo disagio della premier e di FdI, era già un segnale chiaro. Lo si poteva però considerare il saldo dovuto dal leader al potentissimo partito degli amministratori del nord, a partire da Zaia che sull'autonomia differenziata non ha mai smesso di martellare. Il progetto di revisione del Pnrr ideato da Salvini però è se possibile un passo ancora più deciso su quella strada e stavolta non si tratta di debiti contratti in passato e da saldare ma di un impegno nuovo di zecca per il presente e soprattutto per il futuro.

Il ridisegno del ministro delle Infrastrutture, se accolto, imporrebbe una modifica anche nel nome del Piano: non più Nazionale ma Padano. Il ministro delle Infrastrutture vuole sacrificare 4 tratte ferroviarie e spostare i fondi su Intercity e treni locali, cioè su quel che reclamano i Comuni del nord dove il pendolarismo è di massa. Ipotizza l'abbandono dei progetti per la costruzione degli asili nido per foraggiare lavori faraonici nella pianura Padana. Suggerisce di rivedere i progetti che interessano il Meridione. È molto difficile immaginare che solo una coincidenza abbia reso contemporanei l'affondo di Molinari sulla possibilità di rinunciare a una parte dei fondi europei e l'offensiva di Salvini, giustificata proprio con la necessità di evitare quella dolorosa rinuncia. Quella della Lega sul Pnrr è un'offensiva politica a pieno titolo, lanciata in nome degli interessi del nord.

Di certo quell'idea non convince il ministro responsabile dell'attuazione del Piano, Raffaele Fitto. La settimana prossima, al Senato, illustrerà la sua strategia. Ha chiesto a tutti i ministri di presentargli entro il 20 aprile un rapporto dettagliato sullo stato dei progetti di rispettiva competenza, con tanto di segnalazione di quali sono quelli irrealizzabili

nei tempi definiti da Bruxelles, cioè entro il giugno 2026. Su quella base, l'Italia chiederà alla Commissione di poter abbandonare alcuni progetti e di spostarne altri nella Coesione, per disporre di un triennio in più. Per evitare di perdere i fondi del Next Generation Eu i progetti abbandonati o spostati verrebbero sostituiti da altri, al momento inseriti nel RePowerEu, che verrà accorpato al Pnrr il 20 aprile, o nella Coesione. È un po' un gioco di prestigio e lo si coglie a occhio nudo ma può funzionare, soprattutto se la Ue sarà davvero molto disponibile e flessibile come promesso dal commissario Gentiloni e dalla presidente von der Leyen.

Però la revisione del progetto non risolve in sé il problema della lentezza dei lavori e lì il guaio è serio perché va a toccare i cordoni di una esigua borsa. Secondo il ministro dell'Economia Giorgetti il nodo che strozza il Piano è l'inadeguatezza della Pa. Il Mef aveva pertanto approntato un decreto finalizzato proprio a moltiplicare le forze della Pa a colpi di nuove assunzioni, stabilizzazione dei precari, riassunzione dei pensionati, congelamento dei pensionamenti di alcuni dirigenti. Palazzo Chigi lo ha bloccato impugnando la più classica delle motivazioni: non ci sono soldi a sufficienza. Il dl, che avrebbe dovuto essere approvato oggi, è slittato e quando arriverà sul tavolo dei ministri, preannuncia Chigi, sarà stato già drasticamente ridimensionato. A quel punto però la strettoia di una Pa inadeguata alla titanica missione si riproporrà e Salvini batterà i pugni sul tavolo chiedendo che i fondi affluiscano dove le amministrazioni sono più in grado di investirli per tempo: cioè nel nord.