Massimo Cacciari non è mai stato un paladino dell’unità del Pd. Anzi, è sempre stato convinto del contrario: prendere atto di un tentativo fallito di fusione. Eppure, «a questo punto mi auguro che non si dividano, che tirino avanti almeno fino alle elezioni, sennò veramente corriamo un grande rischio per il Paese», dice a sorpresa. «Perché il Pd è quello che è, ma chi pensiamo possa governare il Paese, Salvini e Meloni? O Beppe Grillo?» Professore, a parte gli auspici personali, domenica potrebbe essere l’ultimo giorno del Pd unito. Cosa sta accadendo al maggior partito del Paese?

Non c’è nulla di complicato da capire, anzi ciò che sta accadendo sembra ovvio e banale: un partito mai nato si divide. Ma era chiaro fin dall’inizio che le fratture iniziali avrebbero reso impossibile una pacifica convivenza. Bastava intuirlo già tre anni fa.

La tradizione comunista e quella democristiana non erano conciliabili?

Se io ho una visione politica completamente difforme dalla tua è difficile che possiamo andare d’accordo anche da un punto di vista umano.

C’è qualcuno dentro il Pd che desidera davvero una scissione?

Io credo che nessuno la voglia, ma sembra inevitabile. Potrebbero però ancora decidere di vivere da separati in casa, lasciando un po’ di spazio a una componente minoritaria: la cosiddetta sinistra interna. Ma non è un bel vivere.

Meglio che morire...

Se però si fossero divisi quando molte persone di buon senso segnalavano il fallimento dell’esperimento Pd, le cose sarebbero andate diversamente: Renzi avrebbe fatto il suo partito senza rompiscatole tra i piedi e gli altri avrebbero ricompattato una certa sinistra che in Italia, bene o male, esiste. La divisione non avrebbe impedito di cercare poi convergenze elettorali per provare a formare un governo di centro sinistra. Questo sarebbe stato un percorso razionale. Ci sarebbe stato tutto il tempo per elaborare il “lutto” prima che sulla scena arrivassero i vari Grillo, Salvini, Le Pen, Trump.

Ora si rischia una scissione

fuori tempo massimo?

Adesso, purtroppo, più che una scissione ci sarà una frantumazione. Perché nel frattempo Renzi si è indebolito e anche la sua area è attraversata da correnti che si riuniscono attorno ad altrettanti caminetti. Mentre gli altri - i vari Civati, Fassina, Barca - si sono dispersi. Così il Pd rischia di sgretolarsi. A questo punto, forse, conviene a tutti continuare a convivere da separati in casa. Perché se il Partito democratico esplode, l’unica prospettiva per questo Paese rimarrà il Movimento 5 Stelle o la destra.

L’ago della bilancia per tenere unito il partito è Dario Franceschini. Crede che Renzi tema di essere scaricato dal ministro della Cultura?

Franceschini i voti non li ha. L’unico ad averli, dentro al Pd, rimane Matteo Renzi. Proprio come accadeva nel centro destra, dove l’unico a godere di un consenso personale era Silvio Berlusconi.

Il Pd senza Renzi non può sopravvivere?

Al momento no. Perché non hanno costruito alcun gruppo dirigente. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso. E non è un’analisi figlia del senno di poi, lo dico da anni. Il Pd non è la Dc dove c’erano almeno quindici leader capaci di prendere voti. E non è nemmeno il Pci dove più di un dirigente era in grado di portare in dote consensi personali: Ingrao, Napolitano, Chiaromonte e così via.

Anche Renzi è uscito con le ossa rotte dall’ultimo confronto con le urne. La minoranza rimprovera al segretario di non aver analizzato le ragioni della sconfitta referendaria. Hanno ragione o si tratta di un’accusa strumentale?

Hanno perfettamente ragione. Obiettivamente, la cosiddetta sinistra non rivolge soltanto critiche strumentali. A parte D’Alema, che se avesse ottenuto l’incarico di presunto ministro degli Esteri d’Europa oggi sarebbe il migliore alleato del segretario, gli altri non attaccano sempre gratuitamente. E Renzi, come buona parte del centro sinistra europeo, non ha compreso nulla delle mutate condizioni sociali in cui ci muoviamo. Non ha fatto nessun ragionamento sul precariato di massa, sulla disoccupazione giovanile, sull’immigrazione.

Però si è dimesso da premier. Non basta?

La sua relazione in direzione era imbarazzante. Un vuoto simile di analisi sarebbe stato impensabile in qualsiasi partito della Prima Repubblica. Non c’è stata alcuna riflessione sul fatto che lui, il rottamatore, ha perso col 40 per cento pescando parecchi voti tra gli ultra sessantecinquenni. Se avessero votato soltanto quelli sotto i 30 anni, la sconfitta sarebbe stata molto più pesante: 80 a 20. Ecco, se Renzi in direzione fosse partito da questo dato avrebbe messo con le spalle al muro anche la minoranza, perché l’opposizione, sul piano dell’analisi, non l’avrebbe potuto attaccare.

E perché non l’ha fatto?

Perché non è capace. Renzi è uno che ha una grande volontà di potenza e una grande spregiudicatezza - che sono meriti in politica - ma non ha mai letto un libro in vita sua. E non riesce, per carattere egocentrico, a fare quello che un capo politico deve fare: mediare tra le diverse componenti del suo partito e della sinistra. Ha mai visto sulla faccia della terra il leader di una forza del centro sinistra che sceglie come suo massimo nemico il sindacato? Bisogna essere pazzi. So perfettamente che il sindacato è una forza conservatrice in questo Paese, ma se sono il segretario del Partito democratico non posso andare a dirglielo ogni giorno a muso duro. Come credeva di vincere il referendum? Pensava davvero di portare dalla sua parte tutti gli elettori di destra?

Uno tra Emiliano, Speranza e Rossi avrebbe chance di battere Renzi al congresso?

No, ripeto, queste persone non hanno i voti. Posso solo dire che tra gli esponenti della minoranza ho molta stima di Gianni Cuperlo, persona preparata ma senza volontà di potenza.

Non potrebbe vincere neanche uno sfidante come Andrea Orlando?

Nessuno è in grado affrontare una sfida elettorale. Se domani andassimo alle urne con una leadership diversa da quella di Renzi, il rischio del 40 per cento a Grillo diventa concreto.

«MATTEO HA GRANDE VOLONTÀ DI POTENZA E UNA GRANDE SPREGIUDICATEZZA MA NON HA MAI LETTO UN LIBRO IN VITA SUA.

DOVREBBE MEDIARE, MA PROPRIO NON GLI RIESCE»