È morto senza aver conosciuto gli esiti dell’indagine ministeriale voluta lo scorso anno Guardasigilli Carlo Nordio sulle modalità di conduzione dell’indagine “Aemilia”, la maxi inchiesta contro le infiltrazioni della ’ ndrangheta al Nord Italia che l’aveva coinvolto nel 2015 con la pesante accusa, da cui era stato completamente assolto, di voto di scambio politico mafioso. Giovanni Paolo Bernini, esponente di Forza Italia, già assessore e presidente del Consiglio comunale di Parma, se ne andato all’improvviso lo scorso fine settimana, a 61 anni. Lascia la moglie e due figli. «Temo che le vicende giudiziarie che hanno ingiustamente condizionato la sua vita non siano estranee alla sua morte prematura», ha commentato Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato e che sulla conduzione di “Aemila” aveva anche presentato una interrogazione parlamentare. «È arrivato il momento della verità e della giustizia: ecco perché chiedo a Nordio di riferire al Parlamento ed agli italiani le risultanze dell’ispezione», ripeteva a tutti Bernini in questi mesi. Del suo processo aveva scritto due libri: “Storia di ordinaria ingiustizia” e “Colpo al sistema”. «Il mio più grande cruccio - dichiarava sempre - è che mio padre non ha potuto vedere la fine di questa mia vicenda giudiziaria. Per questo ho dedicato a lui i miei libri». “Colpo al sistema” conteneva poi la relazione “segreta” del pm antimafia Roberto Pennisi che aveva partecipato all’inchiesta e che in qualche modo confermava la tesi di Bernini riguardo alla non imparzialità delle indagini.

Nel mirino di Bernini, in particolare, il pm Marco Mescolini che ne aveva chiesto l’arresto. Nel 2006 il magistrato aveva avuto un incarico di consulente nell’allora governo Prodi. Rientrato in servizio gli era stata affidata un’importante quanto delicata inchiesta, sfociata appunto nel processo Aemilia, volta a contrastare la mafia calabrese che operava in Emilia Romagna.

«Qui il cortocircuito – scrisse Bernini - perché una marea di intercettazioni telefoniche e ambientali che coinvolgono esponenti locali e nazionali del Partito democratico vengono lasciate nei cassetti per anni». Operazione questa, sempre secondo Bernini, che gli avrebbe consentito di essere nominato procuratore della Repubblica di Reggio Emilia, «grazie alle pressioni esercitate dal Pd su Luca Palamara». Accuse - quelle di avere «abbattuto gli avversari politici, confuso l’opinione pubblica e non perseguito le reali connessioni fra la politica e la mafia calabrese» -, quanto mai pesanti e su cui aveva acceso un faro lo stesso Consiglio superiore della magistratura. A carico di Mescolini venne aperta una procedura di incompatibilità ambientale sfociata nel suo trasferimento in Toscana. La toga, come scrisse nella delibera Nino Di Matteo, avrebbe avuto “a cuore” le sorti del Pd. La decisione è stata però recentemente ribaltata dal giudice amministrativo. «Dispiace – commentò Bernini – solo per le quattro eroiche magistrate della Procura di Reggio Emilia che hanno avuto giustamente il coraggio di denunciare al Csm il loro capo: il loro coraggio e lavoro sono certo sarà riconosciuto indispensabile. Come anche la decisione all’unanimità del Plenum del Csm che decretò l’allontanamento di Mescolini dal distretto giudiziario dell’Emilia- Romagna. Mi sembra davvero doveroso richiamare la responsabilità di tutte le istituzioni in questa grave vicenda giudiziaria affinché si ristabilizzi il principio che “la legge è uguale per tutti”. Non è più infatti possibile nascondere il grave vulnus nelle risultanze del maxi processo», aggiungeva Bernini. «Un meccanismo perverso che il mio libro ha fatto diventare di dominio pubblico ed il cui scopo è quello di arrivare ad una giustizia giusta, che non guarda le appartenenze politiche, come invece è accaduto, e di un processo contro la mafia nel quale nessun politico e nessun amministratore è stato condannato: ecco, io chiedo che il maxiprocesso Aemilia venga riaperto», disse poco tempo fa in occasione di una presentazione del suo libro, poi ripreso in alcuni passaggi anche da Nicola Porro in “Gli altarini della sinistra”. Sarebbe già tanto, a questo punto, conoscere gli esiti dell’inchiesta ministeriale.