La censura di guerra corre più veloce dei blindati russi nelle steppe ucraine. E, come una giostrina isterica, ogni giorno si accanisce su nuovi, pregiati bersagli. L’ultima vittima è Fëdor Michajlovicč Dostoevskij, deceduto più o meno 140 fa quando in Italia regnava Umberto I e governava Agostino Depretis. L’Università della Bicocca di Milano aveva infatti deciso di sospendere un corso sul grande romanziere russo «per evitare polemiche». Così recitava la mail spedita allo scrittore Paolo Nori che avrebbe dovuto tenere quelle lezioni. Una decisione talmente stupida che l’ateneo meneghino dopo poche ore e relativa rivolta sui social è tornato sui suoi passi. Il corso ci sarà, non prima però che la rettrice incontri Nori «per un momento di riflessione». Su cosa diavolo mai i due debbano riflettere non è dato saperlo. C’è da dire che l’avvilente vicenda suggerisce nuove strade allo zelo dei censori. Dopo il reato di “non opinione” per cui il direttore d’orchestra Gergiev è stato licenziato in tronco dalla Scala di Milano, ora si è passati alla roncola della cancel culture per colpire il passato remoto delle nazioni. Con associazioni di idee da scuola materna: cosa lega Dostoevskij alla guerra di Putin? Semplice, il luogo di nascita: San Pietroburgo. Scorrendo il ditino sulla carta geografica avremmo potuto applicare questa logica ad altri conflitti ed altri, illustri personaggi. Vuoi dare un segnale forte contro le guerre americane in Vietnam e in Iraq? Beh, potresti iniziare sospendendo la visione dei film di Steven Spielberg e Clint Eastwood, oppure la lettura dei romanzi di John Steimbeck ed Ernest Emingway. O magari boicottare gli album di Michael Jackson e Madonna. Sei un oppositore della colonizzazione francese in Algeria? Prenditela con François Truffaut e Jean Luc Godard, oppure con Jean Paul Sartre e Albert Camus. E naturalmente al rogo quei tedescacci di Wolfang Gohete e Thomas Mann.