L’occupazione militare della Striscia di Gaza impone all’esercito israeliano una condotta ancora più accorta e i diritti dei palestinesi in un contesto del genere non vengono affatto sospesi. Parte da questa considerazione Michal Saliternik, professoressa di diritto internazionale nella facoltà di giurisprudenza del “Netanya Academic College”. «Il diritto internazionale – dice al Dubbio - affronta un momento di crisi e la guerra a Gaza credo che abbia aggravato questa situazione. Il conflitto in corso è un esempio del palese disprezzo per il diritto internazionale da parte di attori, principalmente Stati Uniti e Israele, che in passato hanno dimostrato maggiore rispetto per le norme e le istituzioni internazionali o almeno si sono impegnati maggiormente per mantenere un'apparenza di impegno nei loro confronti». Sul crimine di genocidio, Saliternik è cauta. Quanto sta accadendo rischia di relegare su un secondo piano i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, violazioni del diritto internazionale umanitario altrettanto gravi.

Professoressa Saliternik, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato irremovibile sull’occupazione militare di Gaza City. Un’operazione in cui i diritti dei palestinesi sono costantemente violati. Cosa ne pensa?

Giuridicamente parlando, il termine “occupazione” non implica che i diritti della popolazione locale siano sospesi. Al contrario: secondo il diritto internazionale, il fatto stesso di un effettivo controllo militare su un territorio straniero crea obblighi specifici per la potenza occupante nei confronti degli abitanti del territorio occupato. Una volta che le forze di difesa israeliane (Idf) occupano Gaza City, si assumono la responsabilità di mantenere l’ordine e la sicurezza, di rispettare i diritti dei residenti locali e di garantire la fornitura di beni di prima necessità laddove le autorità palestinesi locali non siano in grado di farlo.

Dalla teoria alla pratica c’è però una grossa differenza?

La recente condotta delle Idf a Gaza City, con lo sfollamento di centinaia di migliaia di persone e la distruzione su larga scala di infrastrutture civili, insieme alle dichiarazioni di alti funzionari israeliani sui piani di "cancellare" Gaza e costruire insediamenti israeliani al suo posto, provoca seri dubbi sull’impegno di Israele a rispettare il diritto internazionale.

Una Commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite ha rilevato che sulla Striscia di Gaza è in corso un genocidio. Questo termine è usato con troppa disinvoltura?

Si tratta di una questione complessa. Il genocidio è definito come determinati atti commessi contro membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, tra cui l’uccisione, il causare gravi lesioni personali o l’infliggere condizioni di vita distruttive, quando compiuti con l’intento specifico di distruggere il gruppo in quanto tale, in tutto o in parte. Sia gli elementi actus reus che mens rea di questa definizione sollevano complesse sfide dottrinali e probatorie. La stessa commissione delle Nazioni Unite ha chiarito di non applicare il rigoroso standard di prova richiesto nei procedimenti giudiziari. Per questo motivo, sebbene le sue conclusioni possano essere contestate, non direi che la Commissione abbia usato il termine genocidio con troppa leggerezza. Detto questo, credo che l'importanza del termine genocidio nel dibattito internazionale su Gaza sia per certi versi controproducente. Data la definizione giuridica relativamente ristretta di questa categoria e le profonde controversie che circondano la sua applicazione, le affermazioni di genocidio potrebbero non riuscire a stimolare l’azione, in particolare tra il pubblico, sia in Israele che all’estero, che potrebbe essere più incline a riconoscere e contrastare i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità.

All’estero si parla poco sulla posizione dei tribunali israeliani sulla espansione delle colonie e sulle operazioni militari di Gaza. Qual è il loro orientamento?

Il principale organo giudiziario che supervisiona le azioni del governo israeliano e delle Idf in Cisgiordania e a Gaza è la Corte Suprema. Negli ultimi anni, la Corte è stata accusata dal governo in carica di imporre eccessivi limiti alla capacità dello Stato di combattere il terrorismo palestinese e proteggere la sicurezza nazionale. Queste accuse sono state poi utilizzate per giustificare una serie di riforme giudiziarie e costituzionali fortemente contestate, volte a consolidare il potere esecutivo e a limitare il controllo giurisdizionale.

Accuse dunque strumentali?

Sì e in gran parte infondate. Anche se va aggiunto che in riferimento alla condotta di Israele in Cisgiordania e a Gaza, nonché in merito al trattamento riservato ai palestinesi all’interno di Israele, la Corte Suprema è stata generalmente riluttante a far rispettare gli obblighi internazionali in materia umanitaria e di diritti umani nei confronti dello Stato. Questa consolidata deferenza giudiziaria è diventata ancora più pronunciata durante l’attuale guerra a Gaza e nel contesto del deterioramento della situazione in Cisgiordania. La Corte è intervenuta solo in circostanze molto limitate.

Ci può fare qualche esempio?

Prendiamo in considerazione l’ordinanza del 7 settembre 2025, che impone al governo di garantire cibo adeguato ai prigionieri palestinesi, detenuti nelle carceri israeliane, dopo le segnalazioni secondo cui, dal 7 ottobre 2023, era stata loro negata un’alimentazione minima. Non sorprende che questo provvedimento abbia provocato attacchi populisti da parte di alcuni ministri del governo Netanyahu, che hanno accusato la Corte di essere schierata con il terrorismo. Un’accusa mirata a promuovere una campagna contro l’indipendenza della magistratura. Questi episodi dimostrano che la magistratura israeliana affronta tempi difficili. Il governo ha lanciato attacchi continui contro la Corte Suprema e l’opinione pubblica mostra scarsa tolleranza per la tutela dei diritti dei palestinesi. Tuttavia, se la Corte vuole svolgere il suo ruolo deve continuare, con sforzi sempre maggiori, a tutelare i diritti soprattutto dei più vulnerabili.