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Presentata ieri la short list di 264 legali esperti in diritto antidiscriminatorio La presidente del Cnf Masi: «Sì al patrocinio a spese dello Stato per le vittime»
Una short list di 264 avvocate e avvocati formati in diritto discriminatorio di genere. È il risultato del progetto avviato con il protocollo di intesa del 2017 tra Consigliera nazionale di parità e Cnf per la formazione di legali su tutto il territorio nazionale per il contrasto alle discriminazioni di genere sui luoghi di lavoro, presentato ieri nella sede del Consiglio nazionale forense. Un risultato frutto di una vecchia intuizione che ha dato avvio al progetto in Puglia, sostenuto dalla presidente Maria Masi e dalle Consigliere Francesca Bagni Cipriani e Serenella Molendini, una best practice estesa poi al tutto il territorio nazionale, fino a coinvolgere 2mila avvocate e avvocati. «Questo incontro - ha evidenziato Masi non è conclusivo, ma il momento valutativo di un percorso importante. È un esperimento riuscito di come fare rete. Ma la sua bontà non può esaurirsi nei suoi primi effetti: questa esperienza ci ha dato la conferma di quanto la materia della tutela discriminatoria sia sconosciuta, anche per un difetto di tipo normativo» . Il patto di “alleanza” tra le Consigliere di parità e l’avvocatura, dunque, dovrà portare a riempire questo vulnus, partendo anche dalle richieste da formulare alle Istituzioni, azione che conferma il ruolo sociale dell'avvocatura: l’istituzione di un fondo nazionale antidiscriminazione e l’accesso al patrocinio a spese dello Stato per le vittime di discriminazione.
A dimostrare l’esigenza di un’azione incisiva sono i numeri: nel 2019 sono stati 3208 gli accessi di donne e uomini agli uffici delle Consigliere e 1087 i casi presi in carico. Di questi, molti sono stati definiti in via informale e stragiudiziale grazie al lavoro delle Consigliere, in collaborazione con gli Ispettorati del Lavoro, altri, invece, mediante l’azione in giudizio. Tra il 2020 e il 2021, complice la pandemia, gli accessi agli uffici si sono ridotti, ma i numeri rimangono comunque molto alti: nel 2020, infatti, gli accessi sono stati 2705, mentre nel 2021 sono stati 1560. Tra il 2019 e il 2021, dunque, sono state 2506 le persone prese in carico. La short list, ora, consente di poter contare su donne e uomini dotati di strumenti concreti per una maggiore e migliore competenza sui fenomeni discriminatori. Lo scopo, ha spiegato Bagni Cipriani, è «uscire dalle situazioni di vessazione e discriminazione e ottenere una migliore condizione di vita, soprattutto per le donne, ma non soltanto per le donne». Proprio per tale motivo è importante «fare rete», ha spiegato la Consigliera nazionale di parità, un vero e proprio lavoro di squadra, ha aggiunto Molendini. L’attività antidiscriminatoria rappresenta il fulcro dell’attività delle Consigliere di parità che, in qualità di pubbliche ufficiali, sono «le sole che possono portare in giudizio lavoratori e lavoratrici discriminati». Ma l’attività non si riduce a questo: «Le consigliere di parità hanno una competenza che consente loro di formulare pareri, fare azioni formali e informali. Abbiamo lavorato tantissimo - ha aggiunto Molendini -, anche durante la pandemia, con una banca dati di sentenze antidiscriminatorie davvero importante». Il problema principale rimane la mancanza di risorse, «un fatto grave». Da qui l’esigenza di insistere per la creazione di un Fondo nazionale. «Abbiamo più accessi, rispetto al passato, e più azioni collettive ha spiegato la Consigliera -, quindi la nostra attività non è più invisibile ed è riconosciuta sul territorio». La questione verrà sottoposta alla nuova ministra, ha aggiunto Molendini, assieme alla richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato senza limiti di reddito, proposta che può trovare la propria ragione d’essere nelle considerazioni formulate dalla Consulta nella pronuncia che ha confermato la costituzionalità dell’ammissione istantanea ed incondizionata a tale strumento per le vittime di reati sessuali.
La squadra formata grazie al lavoro svolto in questi anni aspira ora ad elaborare un modello formativo antidiscriminatorio da diffondere nei territori. Perché «c’è la necessità di una formazione reale, concreta», che l’Università non sempre garantisce. La prospettiva è quindi quella di costituire un gruppo di lavoro per regolamentare la short list e rendere i programmi attuabili nelle singole regioni. «La discriminazione, negli aspetti più critici, affiora come vera e propria vessazione economica e sociale che si ripercuote nelle condizioni di vita e sanitarie - ha sottolineato Bruno Giordano, direttore dell’Ispettorato nazionale del Lavoro -. La discriminazione nel lavoro, nel nostro Paese, c’è, lo dimostrano i dati, il contenzioso, gli accessi. Ma c’è nel lavoro perché c’è nella società, nella scuola, nella vita. E le cause indubbiamente sono economiche, perché la disuguaglianza delle condizioni di partenza porta alle disuguaglianze di appartenenza, nel nostro regime economico. È una discriminazione che ha cause di tipo religioso - ha aggiunto - e anche di carattere geografico. Il sud non è uguale al nord quando parliamo di discriminazione, perché sono diversi i servizi e l’assistenza che lo Stato sociale offre nei vari luoghi del nostro paese. Queste differenze poi diventano discriminazione, perché c’è diversità di accesso, di servizi e anche di tutela dei diritti. Per difendere i diritti devono essere previsti, attuabili». Un esempio? Ancora oggi, il mobbing è disciplinato da un articolo che risale al 1930 che si chiama “maltrattamenti in famiglia”. «Abbiamo enciclopedie piene sul mobbing - ha aggiunto Giordano -, ma non una norma». I diritti devono, dunque, essere tutelabili per evitare la discriminazione. «Le denunce si contano sulle dita di una mano rispetto alle attività di ufficio. Perché non si denuncia? Perché quell’ufficio viene vissuto con lontananza - ha spiegato Giordano -, come luogo burocratico anziché come luogo di tutela, come attività amministrativa anziché di assistenza. E questa è una fotografia di ciò che ci manca».