Sibilla Barbieri è morta martedì scorso in Svizzera. Avrebbe voluto morire a casa sua. Anzi, avrebbe voluto guarire (ogni volta ripenso alla lettera di Piergiorgio Welby, quando scriveva che i malati vogliono guarire, mica morire; ma se non possono guarire potrebbero almeno avere la possibilità di scegliere delle loro vite?).

Barbieri aveva un cancro da dieci anni, si era curata, aveva provato tutto. E a un certo punto tutto aveva smesso di funzionare. Nell’ultimo video ha l’ossigeno e fatica un po’ a parlare – pur essendo lucidissima. In poco più di due minuti e mezzo dice quello che c’è da dire: che non ha più tempo; che ha provato a chiedere l’accesso al suicidio assistito qui in Italia perché è un suo diritto o almeno dovrebbe esserlo; che la ASL aveva mandato una commissione ma poi aveva detto che no, non rientrava nei requisiti stabiliti dalla Corte costituzionale nel 2019 perché non aveva un sostegno vitale – forse inteso come un macchinario (Barbieri aveva un tubicino che l’aiutava a respirare e prendeva dei farmaci per il dolore; cioè aveva bisogno dell’ossigeno e di medicine per lenire i sintomi) – e nemmeno forse troppa sofferenza (questo l’ho aggiungo io dopo aver letto il verbale della commissione); che pochi malati di cancro hanno un sostegno vitale inteso in senso restrittivo («le cose cambiano», dice Barbieri indicando il tubicino, e non c’è bisogno che aggiunga che accade molto velocemente e sempre in peggio in situazioni del genere; che piangere); che è una discriminazione gravissima permettere di scegliere solo a chi ha un certo tipo di trattamento o di tecnologia per sopravvivere (sarebbe come permettere a chi ha gli occhiali o le lenti a contatto di leggere qualunque cosa mentre si fa una lista dei buoni libri a chi non ne ha ancora bisogno; ma è per il nostro bene, naturalmente); che ha deciso liberamente di andare in Svizzera, lei che può; e «posso ancora andarci fisicamente, anche se sono al limite».

Barbieri poi ci domanda: tutte quelle persone che non hanno mezzi materiali e informazioni come fanno? Già. Barbieri aveva tutti i requisiti previsti dalla sentenza della Corte costituzionale che permette anche in Italia di accedere al suicidio assistito: era in grado di intendere e di volere, aveva un patologia incurabile che le provocava sofferenza fisica o psicologica (la disgiuntiva è importante) e aveva dei trattamenti di sostegno vitale. Ma secondo la commissione aziendale della ASL Roma 1 non aveva sostegni vitali e nemmeno sofferenze intollerabili – pur avendo bisogno di quella bombola di ossigeno e di farmaci per contenere il dolore. Lo scrivono nel verbale (che leggo dopo la morte di Barbieri), discostandosi dal parere del comitato etico, e rispondendo a una richiesta di agosto e a una diffida. Quanti giorni sono? Quanti giorni sono per una malata terminale?

Non solo. Barbieri il 3 agosto aveva scritto alla ASL: «Resto in attesa di vostro immediato riscontro poiché le mie condizioni di salute stanno peggiorando e non voglio essere sottoposta a ulteriori sofferenze per me intollerabili». Non solo. Come giustamente ricorda più volte il comitato etico, la sofferenza non è il dolore, ed è difficile misurare qualcosa di così soggettivo. Nonostante questo, il comitato non si nasconde e non rimanda la propria responsabilità: «Data la storia clinica, considerato il vissuto che trapela e l’oggettivo, ineluttabile prognostico, si può forse dubitare di un vissuto di sofferenza ritenuto intollerabile? Crediamo che questo criterio valutativo sia ampiamente documentato e oggettivato». La commissione invece decide che non ci sono tutti i requisiti della 242. Nessuno vuole prendersi questa responsabilità, no?

Barbieri era consigliera dell’Associazione Luca Coscioni e a guardare quel video è più difficile del solito non piangere. È andata in Svizzera, accompagnata dal figlio Vittorio e da Marco Perduca. Si autodenunciano a Roma  – insieme a Marco Cappato come rappresentante dell’Associazione Soccorso Civile – accompagnati da Filomena Gallo, avvocata, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni e coordinatrice del collegio legale di difesa dei disobbedienti. (Anche io sono iscritta a Soccorso Civile e lo scorso dicembre ho accompagnato Massimiliano in Svizzera; Massimiliano non aveva un sostegno vitale in senso stretto ma non poteva quasi più muoversi e non voleva più vivere in quel modo; che ingiustizia).

Vi pare moralmente accettabile che una persona sia costretta a viaggiare per poter scegliere (riuscite a immaginare la fatica e la fretta e l’ansia di non farcela)? Che non possa morire a casa sua? Vi pare giusto che un figlio debba accollarsi questo peso? Ripeto che nel caso di Barbieri questo esilio imposto è ancora più grave. Perché aveva tutti i requisiti eppure nessuno le ha garantito davvero la possibilità di scegliere. Barbieri, sempre in quel video, ringrazia chi l’ha aiutata e chi l’ha ascoltata al posto dello Stato. È forse la parte più infuriante e straziante. Perché la malattia è inevitabile. L’ignavia e l’indifferenza no.