Oggi, salvo molto improbabili sorprese, una Camera quasi unanime voterà una riforma contro se stessa, o più precisamente contro il Parlamento. Il taglio dei parlamentari che verrà approvato oggi in quarta e definitiva lettura non risponde ad altra logica. Il risparmio è irrisorio: 65 mln a fronte di un aumento del debito di 34 mld nell'ultimo anno.

Dal punto di vista dell'efficienza la decurtazione dei parlamentari non avrà effetti, se non quello di complicare per un po' le cose dovendo i regolamenti adeguarsi alla nuova composizione del Parlamento. Compito difficile dal momento che nelle Camere si procede spesso ' per prassi', cioè per abitudine. La riforma ha un solo segno: quello dell'antiparlamentarismo.

Mira a dare sbocco concreto alla decennale campagna, soprattutto ma non esclusivamente dell'M5S, che mira a rappresentare il Parlamento come un covo parassiti nullafacenti nella migliore delle ipotesi e spesso di veri e propri mascalzoni. La riforma peggiorerà le cose. La riduzione del numero dei parlamentari aumenterà il già immenso potere delle segreterie di partito e finirà di ridurre i parlamentari a una massa ben stipendiata di peones delegati ad alzare la mano come leader ordina e comanda.

Con ciò moltiplicando la sensazione che si tratti di una istituzione in sé parassitaria, quando invece la situazione attuale è il prodotto di un progressivo e lucido svuotamento di tutte le funzioni del Parlamento a vantaggio del potere esecutivo e della tendenza a selezionare le classi dirigenti, a partire proprio da quella politica, al ribasso, premiando sempre e solo la silenziosa fedeltà.

La riforma, passata pochi mesi fa al Senato solo per un pugno di voti regalati da FdI, sarà approvata a furor di decapitando, cioè di parlamentari, pur detestando i votanti stessi quel che si accingono ad approvare con finto entusiasmo. La Lega aveva votato la riforma dei 5S solo in omaggio al vincolo di maggioranza ma arrivati alla quarta votazione non se la sente di negare il sostegno, tanto più che la riforma passerebbe comunque, per la comprensibile paura di passare da partito di cialtroni. Il Pd e LeU non nutrono simili patemi d'animo.

Dopo aver bocciato la riforma per tre volte, denunciandola con toni spesso stentorei, la voteranno ora perché è il prezzo per salvare il governo. Su tutti, infine, aleggia il terrore di passare per difensori dell'immondo Parlamento e del detestabile ceto politico agli occhi di un'opinione pubblica drogata da dieci anni di retorica ' anti Casta'.

Per alcuni versi, dunque, la situazione attuale ricorda davvero quella del 1992- 93, quando un ceto politico delegittimato prima dall'esplosione della Lega di Bossi, poi alle inchieste di tangentopoli, non seppe resistere a un'ondata che, in quel caso, adoperava il referendum contro il proporzionale di Mario Segni per abbatterla e rottamarla. La stessa Dc, partito che di proporzionale più di ogni altro viveva, alla fine del 1992 aderì alla crociata per il maggioritario, nella speranza vana di salvare almeno il salvabile.

Per altri versi, però, la situazione è radicalmente diversa da quella di allora. La crociata contro ' i politici' data ormai da 12 anni: inaugurata, probabilmente contro o almeno ben oltre le stesse intenzioni degli autori, dal folgorante successo del libro di Stella e Rizzo La Casta. L'obiettivo dell'M5S nato dieci anni fa ma con radici nei vaffa days del 2008, il nocciolo della propaganda pentastellata è sempre stato il ceto politico, e più concretamente il Parlamento. Lo stesso grido di battaglia ' Onestà' allude in realtà al difetto opposto che inquinerebbe per intero la politica e i fumosi vagheggiamenti sulla ' democrazia diretta' miravano proprio a rivolgere il disagio crescente della popolazione verso la ' democrazia indiretta', quella rappresentativa, quella appunto parlamentare.

Il voto di oggi segna dunque la vittoria piena dell'M5S, proprio come il referendum del ' 93 siglò il trionfo schiacciante dei paladini ' anti- partito' del maggioritario. Ma stavolta si tratta di una sorta di ' vittoria postuma'.

Nel frattempo l'M5S si è inserito in pieno, nonostante le sparate di Di Maio a favore del vincolo di mandato, nella pratica dei giochi politici, delle alleanze dettate dall'opportunità, dei voti decisi sulla base del calcolo dell'utilità momento per momento. A differenza che nel 1993, l'arrembaggio antiparlamentare che si realizzerà oggi non porterà dunque alla sostituzione della democrazia parlamentare con forme di democrazia diretta, ma sarebbe più corretta dire plebiscitaria.

Non a caso, l'M5S ha rinunciato per ora alla proposta, ancora più esplosiva, di introdurre il referendum propositivo. Il risultato sarà invece una situazione di caotica indeterminatezza, nella quale i partiti si spingeranno ancora di più verso il modello, già avanzato, della compagnia di ventura guidata da un capitano che si orienta, e orienta la sua truppa parlamentare, a seconda dei suoi interessi e vantaggi.