È stata, senza ombra di dubbio alcuno, una svolta l’introduzione di un Fondo di otto milioni di euro annui per il rimborso delle spese legali, in favore di coloro che, all’esito del processo, risultano assolti con formule piene.

All’operatività del Fondo è stata quindi data attuazione con il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 20 dicembre 2021, il quale, nello specifico, ha statuito all’art. 1, comma 2, lett. e) e all’art. 2 dello stesso che possono accedere al Fondo gli imputati assolti, dovendosi intendere come tali coloro che sono stati oggetto di una sentenza divenuta irrevocabile per tutti i capi di imputazione con le seguenti formule, “perché il fatto non sussiste”, “perché non ha commesso il fatto”, “perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato”, escluso tuttavia il caso in cui quest’ultima pronuncia sia intervenuta a seguito della depenalizzazione dei fatti oggetto d’imputazione. Questa premessa si è resa necessaria per introdurre una vicenda che s’inserisce in tale ambito e che ha fatto rabbrividire molti, scrivente compreso.

Il caso vede un giovane di 27 anni, imputato dinanzi alle Aule di Giustizia, il quale si è tuttavia visto assolvere da ogni accusa con una delle formule previste dal citato Decreto Attuativo.

Attesa la giovane età, l’assolto non è stato poi in grado di soddisfare l’onorario del proprio difensore che è stato invece corrisposto dal padre dello stesso. Il padre chiedeva dunque di poter accedere alle sostanze del Fondo ma, con sorpresa, si vedeva negare il rimborso in quanto il Ministero ha sostenuto che debba sussistere una piena corrispondenza tra il soggetto assolto e colui che ha pagato l’onorario del legale.

Anche le FAQ del Ministero – che, come ovvio, non posseggono alcun valore vincolante – confermano la linea su delineata. Chi scrive, tuttavia, ritiene si debba rimanere fermi al dettato della Legge, la quale tuttavia è nata certamente monca, non prevedendo in nessuna delle sue parti l’ipotesi in cui a pagare sia soggetto diverso dall’imputato.

Un silenzio nell’ambito del quale il Ministero ha trovato spazi per dettare una linea interpretativa votata al risparmio, anche in considerazione del fatto che le somme stanziate non sono certamente sufficienti per soddisfare tutte le richieste che annualmente pervengono e, infatti, lo stesso Decreto Attuativo all’art. 4 detta una serie di criteri di priorità di valutazione delle istanze.

Ad ogni modo è doveroso segnalare come una siffatta linea interpretativa sia, di fatto, escludente di numerose realtà che sono parimenti meritevoli di tutela (!). Si torni alla vicenda del giovane 27enne, il quale vive con il proprio nucleo familiare e, pertanto, non potrebbe nemmeno accedere al Patrocinio a Spese dello Stato (atteso che l’art. 76 del DPR 115/ 2002 – nel valutare che il richiedente il patrocinio non goda di un reddito superiore agli euro12.838,01 – prevede il reddito come somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia convivente con l’istante).

Quanto detto, quindi, comporta una doppia esclusione: da una parte non potrà accedere al patrocinio e, dall’altra, non potrà nemmeno garantire ai propri familiari/ conviventi la possibilità di chiedere un risarcimento dovuto. Nel silenzio causato da vuoti di Legge chi scrive ritiene che il faro legislativo da seguire, più che le FAQ del sito del Ministero, debba essere, come sempre, la Carta Costituzionale.

E se è vero che misure come il patrocinio o il Fondo in commento sono stati previsti al fine di rendere la Giustizia “più equa” e più accessibile a tutti, senza distinzione di censo, allora non si può non concludere sostenendo come l’interpretazione fornita dal Ministero rappresenti un grave vulnus, forse dettato da mere ragioni di bilancio che, purtroppo, tendono a sacrificare questioni di eguaglianza sostanziale. Chissà se qualora l’interessato avesse optato per un “giroconto” da padre a figlio, lo scenario sarebbe mutato ovvero quale sarebbe stata la risposta della burocrazia alla richiesta di rimborso per ricostituire le somme, sempre non proprie, ma da rendere al papà. Il mistero si infittisce.