Nel calcio lo chiamano “salvataggio alla disperata”. Lo tenta il difensore sulla linea di porta. A volte riesce, a volte no. E la scivolata in cui si è prodotto ieri il Pd sulla prescrizione, incoraggiato dal Csm (oltre che da 5S e Verdi-Sinistra), non ha evitato il gol, cioè il primo via libera alla riforma.

La maggioranza ha finalmente portato a casa il sì di un’aula parlamentare a una legge “di sistema” in campo penale (173 favorevoli, inclusi i deputati di Azione e Italia viva, e 79 contrari, tutti di Pd, M5S e Avs). Successo che ora andrà bissato a Palazzo Madama, certo, ma che intanto precede anche il ddl Nordio, sul quale oggi dovrebbe arrivare l’ok in commissione Giustizia al Senato.

La vittoria del centrodestra ha un gusto particolare anche perché sconfessa l’altolà incredibilmente “tempestivo” arrivato dal Csm: pochi giorni prima, infatti, la sesta commissione di Palazzo dei Marescialli aveva approvato un parere critico sulla nuova prescrizione, e ha prodotto così un riflesso parlamentare tanto clamoroso quanto offensivo per la separazione dei poteri.

Con una comunicazione a sorpresa che ha aperto la seduta di ieri a Montecitorio, il capogruppo Giustizia del Pd Federico Gianassi ha chiesto di riportare la riforma in commissione, innanzitutto perché 26 procuratori di Corte d’appello avevano reclamato, in una lettera a Nordio, una norma transitoria per congelare, di fatto, l’entrata in vigore della legge. Con assoluto candore, l’onorevole Gianassi ha segnalato anche il parere del Csm, che condivide la linea delle Procure generali. Il deputato dem, oltre che candido, è stato eufemistico: il Consiglio superiore, o meglio, la sua commissione avrà pure approvato (“complice” il laico Roberto Romboli, indicato proprio dal Pd) il documento critico nei giorni scorsi, ma ha fatto in modo, guarda caso, che la notizia dell’altolà coincidesse magicamente con l’esame della legge in Aula, fissato dopo tre mesi di rinvii. Una tempistica che definire casuale sarebbe ipocrita: proprio oggi, infatti, il plenum del Csm discuterà e voterà la proposta di parere. Giusto in tempo per fare in modo che ieri, pochi minuti prima che iniziassero i lavori della Camera, le agenzie di stampa riportassero il monito: «Il nuovo regime della prescrizione, contenuto nella riforma, rischia di avere effetti negativi sugli obiettivi del Pnrr».

Incredibile: un no delle toghe a due ore dal voto parlamentare. Se la magistratura istituzionale voleva affermare in modo plastico la propria pretesa di condizionare il legislatore, e se possibile di sostituirlo, non poteva scegliere impianto più scenografico. L’altra cosa disarmante è che il Pd si presta al gioco. Anziché segnalare l’ingerenza, la cavalca alla grande. A far notare a Gianassi che c’è un dejà-vu nella coincidenza fra voto in Parlamento e siluri togati è il relatore della legge, Enrico Costa: il responsabile Giustizia di Azione, che aveva ottenuto fin da subito la piena fiducia del centrodestra, ricorda che «non è nuova la puntualità di certe critiche». A lui la cosa sembra sconveniente, a Gianassi pare provvidenziale: punti di vista.

Non è privo di interesse lo stesso mini-dibattito che segue alla richiesta del Pd: rispedire tutto ai box, cioè in commissione Giustizia, per riflettere sulla norma transitoria invocata dai procuratori. Gianassi dice che così sarà possibile «ascoltare in audizione proprio il parere della magistratura». Poco dopo prende la parola l’altro relatore di maggioranza, il deputato di FdI Andrea Pellicini, che osserva: «Visto che il collega del Pd tiene all’opinione della magistratura, forse sarà il caso di ricordare una volta tanto anche l’opinione radicalmente contraria espressa, sulla lettera dei procuratori, dall’avvocatura». Deogratias.

Tutta la giornata pare scandita da un certo imbarazzo del partito di Elly Schlein. Perché non si può tacere del fatto che la riforma del centrodestra (partita da un testo base dell’azzurro Pietro Pittalis) riporta sì la prescrizione al suo regime sostanziale, ma nel farlo recupera in gran parte l’impianto della riforma Orlando. Parliamo della prescrizione “2017 edition” (la giostra di riforme richiede definizioni mutuate dal mondo dei videogames) che, come la nuova, si basa sulla sospensione del cronometro in appello e in Cassazione, in modo da evitare che le fasi di impugnazione svaniscano un minuto dopo essere iniziate.

Rispetto a Orlando, il successore Carlo Nordio, il suo vice Francesco Paolo Sisto (FI) e i sottosegretari Andrea Ostellari (Lega) e Andrea Delmastro (FdI, delegato ieri a seguire i lavori), hanno variato di poco l’impianto: nel calcolo base si parte dal massimo edittale aumentato di un quarto anziché della metà, e i tre anni complessivi di sospensione sono calibrati con uno scarto appena diverso (24 mesi, anziché 18, in appello). La sola vera novità è che stavolta il tempo sospeso torna nel calcolo non solo in caso di successiva assoluzione ma anche qualora venga sforato. Un incentivo a “correre” che dovrebbe far bene a tutti.

Ebbene, contro una riforma quasi fotocopia di quella firmata dal loro ex guardasigilli, i dem ieri hanno scavato tutte le trincee possibili. Fino alla più paradossale, difesa, oltre che da Gianassi, dalla responsabile Giustizia del Pd Debora Serracchiani: un emendamento che avrebbe spazzato via il testo costruito nei mesi scorsi e ripristinato proprio quello di Orlando. Di fatto, la smentita dell’urgenza di quella norma transitoria sollecitata poco prima.

Ma così i dem hanno rinnegato pure quella commissione istituita da Marta Cartabia e presieduta, nel 2021, da un gigante del diritto penale come Giorgio Lattanzi. Erano stati i “saggi” guidati dal presidente emerito della Consulta, infatti, a concepire l’assetto quasi integralmente recepito dall’attuale maggioranza. Eppure il Pd, per non dire degli anatemi lanciati ieri dai 5 Stelle, hanno definito quel testo non abbastanza “equilibrato”.

Se ne riparlerà fra un po’ in Senato. E per allora, c’è da starne certi, i magistrati tenteranno un’altra scivolata sulla linea di porta.