LA PROPOSTA

Dovrà esserci un Recovery di guerra, altrimenti, nei prossimi mesi, il problema di Draghi e di chiunque altro al suo posto non sarà la tenuta del quadro politico ma di quello sociale.

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UNA RAGAZZA UCRAINA CHE HA APPENA ATTRAVERSATO IL CONFINE POLACCO DI MEDYKA

MARC SANYE LE SANZIONI, COME DICE DRAGHI, DURERANNO A LUNGO E SERVE L’INTERVENTO DELL’EUROPA

Il prossimo appuntamento fra Mario Draghi e il Parlamento italiano con la guerra e le sue ricadute sull'Italia per argomento di dibattito è lontano: il 23 marzo, alla vigilia della riunione del Consiglio europeo dei due giorni successivi, con all'odg le comunicazioni in merito di Draghi. Probabilmente sarebbe inutile convocare prima le Camere: in una situazione come questa il quadro è esposto a modifiche quasi quotidiane e una strategia almeno accennata da sottoporre al vaglio del Parlamento ancora non c'è. Ciò non toglie che tempi così placidi a fronte di un'onda di ritorno delle sanzioni imposte alla Russia che si sta già abbattendo sul Paese desti una sensazione stridente e un po' surreale, tanto più se misurata con il metro delle parole dello stesso Draghi che mette la rapidità della reazione al primo posto tra gli elementi necessari per reggere all'urto.

In assenza di specifico dibattito diventano centrali le risposte alle interrogazioni fornite due giorni fa alla Camera dallo stesso Draghi, alla vigilia della riunione informale dei capi di governo della Ue di ieri. Del resto tutte le interrogazioni tranne una riguardavano proprio la guerra in Ucraina e in particolare gli effetti del conflitto e delle sanzioni contro la Russia sull'Italia. La risposta a quell'unica interrogazione eccentrica, avanzata da FdI sulla riforma del catasto, è però comunque interessante perché il premier ha colto l'occasione per ribadire, con insolita veemenza, la sua determinazione a procedere nel programma di riforme senza farsi frenare o rallentare dalla nuova e imprevista crisi. Si è trattato di un messaggio preciso, rivolto non all'opposizione di FdI ma alla sua stessa spesso riottosa maggioranza. Nessuno si illuda che, in nome dell'emergenza bellica, Draghi sia disposto a restare premier rinunciando però a procedere sulla strada delle sue riforme.

Il chiarimento era ed è necessario. Se da un lato la guerra rafforza il governo, rendendo ancor più sconsigliabile del solito l'ipotesi di trovarsi in condizioni di totale instabilità mentre infuria la tempesta, per gli stessi motivi rischia però anche di indebolirlo, perché le spinte centrifughe o paralizzanti possono scommettere su un Draghi ' costretto' a restare comunque a palazzo Chigi. Sarebbe una scommessa persa e il premier ci ha tenuto a farlo sapere subito.

Sul come fronteggiare la crisi, però, il quadro è molto meno drastico e chiaro. In realtà Draghi si è limitato a ripetere quanto già notissimo. È fondamentale diversificare le fonti di energia puntando soprattutto sulle rinnovabili, per superare a spron battuto la dipendenza dal gas russo, ma anche quelle di approvvigionamento di grano, o anche il comparto agroalimentare finisce gambe all'aria. Sempre che la giungla delle autorizzazioni e quella dei regolamenti comunitari non vanifichino lo sforzo. Sul sostegno alla popolazione ci sono i 16 miliardi già stanziati e c'è la sterilizzazione al 5 per cento dell'Iva sul gas. Ma c'erano già prima della guerra, servivano a fronteggiare un'impennata dei prezzi che aveva preso la rincorsa senza aspettare Putin e adesso si trova non con le ali ma con i razzi ai piedi. Infatti quelle cifre «ieri impensabili» non saranno sufficienti a garantire «la competitività anzi la stessa sopravvivenza delle aziende italiane». Il Pnrr non verrà modificato: non ora almeno. Vediamo. Reggere la nuova fase senza la pienissima solidarietà europea, a partire da un rinvio e poi dalla modifica del patto di stabilità non sarebbe possibile perché «le sanzioni prevedibilmente non dureranno poco e per durare devono essere sostenibili» . Tradotto significa che oggi un piano italiano ed europeo per affrontare una crisi che «non durerà poco» ancora non c'è. Ma dovrà essere approntato presto. Dovrà esserci un Recovery Fund di guerra, le semplificazioni dovranno essere introdotte con le cesoie e non con forbicine da unghie. Altrimenti, nei prossimi mesi, il problema di Draghi e di chiunque altro al suo posto non sarà la tenuta del quadro politico ma di quello sociale.

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